Legittima difesa, è allarme sociale
S’infiamma il dibattito politico e mediatico per l’ennesimo caso di furto in abitazione, in cui il malvivente è ucciso dalla vittima. Gli italiani, stufi di subire le scorribande di malintenzionati che violano impunemente la proprietà privata, attentando a beni materiali ed incolumità fisica, assegnano a questo tipo di reato la cima nella classifica dei crimini più odiosi. Il fenomeno ha raggiunto un tale livello di pericolosità e diffusione, da trasformarsi in autentico allarme sociale, ancor più sentito perché vissuto dalle famiglie direttamente sulla propria pelle, insieme all’idea di un’insufficiente tutela da parte del garante dell’ordine pubblico.
La costituzione di ronde di volontari per la sicurezza di case, quartieri e aree di residenza, l’aumento di privati muniti di legale detenzione d’arma da fuoco per la difesa domestica, l’incremento – registrato nei recenti fatti di cronaca – di intrusioni con sparatoria finale non sono segnali che lo Stato può continuare a trascurare. Da inchieste giornalistiche e sondaggi televisivi, emerge che i cittadini hanno smarrito la fiducia nell’efficacia dei mezzi di prevenzione adottati dalle forze dell’ordine, ormai impossibilitate a preservare l’intero territorio da una situazione fuori controllo; spicca, inoltre, un marcato scetticismo sulla capacità di giudizio e sui criteri d’applicazione delle leggi in materia, da parte dei magistrati chiamati a sanzionare il reo eventualmente catturato.
Lo scontro dialettico, che vede protagonisti – sul piano politico – maggioranza ed opposizione, si concentra sul concetto di legittima difesa, espresso dall’art. 52 del Codice Penale, e sulle divergenze interpretative relative all’elemento fondamentale per la sussistenza della stessa: la proporzionalità tra difesa e offesa. Una reazione sproporzionata rispetto all’entità dell’offesa può portare all’incriminazione per eccesso di legittima difesa o, in caso di decesso dell’offensore, all’imputazione d’omicidio colposo, se non addirittura all’accusa d’omicidio volontario, come nel caso del pensionato di Vaprio D’Adda che colpisce a morte uno dei tre ladri, introdottisi nottetempo, scardinando una finestra, nella sua abitazione.
Il pensionato, vittima – come altri in zona – di un precedente furto senza arresto dei responsabili, si era dotato di regolare porto d’armi e di una pistola. Il ladro ucciso, un pregiudicato albanese espulso dall’Italia per reati vari, non avrebbe perciò dovuto trovarsi sul nostro suolo, intento a perpetrare nuovi atti delinquenziali. La sua illegale presenza non ha portato bene a nessuno dei due ed è, in particolare, sintomatica di una grave anomalia del sistema giudiziario italiano, incapace di gestire fino in fondo gli effetti delle sentenze emesse e carente nel controllo della loro osservanza ed esecuzione. Il risultato è, oggi, un delinquente morto ammazzato e l’anziana vittima che rischia, per circostanze indipendenti dalla propria natura umana, di essere giudicato carnefice, transitando dal ruolo di preda a quello di predatore. Altre conseguenze: da un lato, la preoccupazione per la scoperta, nella popolazione, di un crescente sentimento di “giustizia fai da te”, in surroga alle falle dell’apparato giudiziario; dall’altro, il tentativo di parte della politica di cavalcare paure e choc emotivi dell’opinione pubblica per finalità elettorali, dispensando l’immagine di uno Stato debole, se non assente, che abbandona il cittadino nelle mani dei fuorilegge, in una terra senza più capisaldi e punti di riferimento.
Oltre il limite della diatriba tra “buonisti” e “giustizialisti”, resta il dato oggettivo di un’emergenza che, per il solo fatto che si sia prodotta, è indice di meccanismi inceppati o da rettificare. Non è in discussione la sacralità della vita umana, nemmeno quella del delinquente che ruba, picchia, stupra o uccide; non siamo gli Stati Uniti d’America, tanto meno abbiamo interesse – all’alba del terzo millennio – a raccoglierne l’eredità da Far West, auspicando una corsa alle armi da parte della cittadinanza. Di converso, non si può transigere sul diritto costituzionale del cittadino alla sicurezza e sul corrispondente obbligo dello Stato nel garantirla. Le istituzioni hanno la responsabilità di trasmettere alla popolazione una rassicurante vicinanza tramite il presidio del territorio, l’applicazione delle leggi e la punizione dei trasgressori. Nel caso dei furti in abitazione, spesso aggravati da efferatezze e violenze inaudite, lo Stato ha proiettato sul cittadino un’immagine d’impotenza, inadeguatezza e indifferenza alle sue sorti talmente inequivocabile, da generare una vera e propria sindrome collettiva d’abbandono. Non è normale che si abbia paura ad uscire di casa, per non lasciarla incustodita. E’ ancor meno normale andare a dormire con l’angoscia d’essere “visitati”, indifesi, nel sonno. La spregiudicatezza ed il tasso di pericolosità criminale raggiunti dai ladri, nonostante sistemi d’allarme o presenza stessa in casa dei proprietari, nasce dalla convinzione che, in Italia, le conseguenze di un eventuale arresto per questo tipo di reato siano lievi, se non addirittura irrilevanti; ne approfittano autoctoni professionisti del settore e, soprattutto, infaticabili “operatori stranieri”, increduli che da noi possano alacremente fare il proprio mestiere col minimo rischio, mentre in patria, una volta in cella, il secondino butterebbe via le chiavi.
Senza provvedimenti urgenti, si rischia di inoculare nel sistema linfatico del paese i germi della xenofobia e di un rinnovato rancore per classe dirigente e caste privilegiate, unitamente al disprezzo per le istituzioni e per la propria identità culturale e nazionale. Il buon senso suggerisce che il primo strumento di prevenzione e contrasto al fenomeno potrebbe essere quello di agire alla fonte, creando deterrenza sul piano legislativo: certezza della pena, inasprimento delle relative sanzioni e ri-definizione del confine tra reazione difensiva proporzionata ed eccessiva. In un’ottica revisionista dell’articolo 52, per la fattispecie in cui si eserciti l’istituto della legittima difesa all’interno del proprio domicilio e a seguito di sua violazione da parte di terzi, una proposta condivisibile potrebbe essere quella di decretare a prescindere, salvo prova contraria (ad esempio, sparare fuori dall’abitazione alle spalle del ladro in fuga, se questi non si sia macchiato di violenza sulle persone e non costituisca più una minaccia in tal senso), la presunzione di proporzionalità della reazione difensiva, atteso il carattere d’aggressione psicologica e fisica insito nell’intrusione di estranei, in coordinamento con l’assunto della piena legittimità della risposta della vittima sulla base della sua soggettiva percezione del pericolo in quello specifico momento.