Matteo Pellegrino, mettersi in gioco negli USA
Giovane designer italiano che ha fatto della sperimentazione il suo credo, in bilico tra progettazione e suggestione: Matteo Pellegrino usa materiali appartenenti all’industria, ma li ripropone in chiave artigianale, creando oggetti e ambienti carichi di suggestione lavorando sul sottile crinale tra arte e oggetti d’uso. Ha di recente incontrato gli Stati Uniti sul suo percorso e ci racconta come il panorama cambi, oltreoceano, per un giovane designer.
Che cosa porta un creativo ad andare all’estero?
Una sana curiosità e voglia di mettersi in gioco sono sicuramente i primi elementi sempre presenti nella “valigia del creativo”. Stare fermi in un punto per tutta la vita è impensabile, e chi lo fa commette un grave errore, si preclude molta felicità. Chi è creativo può avvertire di più questo tipo di bisogno, ma in realtà dovrebbe essere una necessità dell’uomo tanto quanto mangiare o dormire. Innegabile anche come “il viaggio” di per sé sia foriero non solo di ispirazioni ma anche di opportunità.
Cosa manca all’Italia?
Assolutamente nulla, è un posto straordinario, ma ognuno deve inseguire le proprie esigenze anche in via temporanea. L’Italia è un paese meraviglioso anche se al momento è un po’ opacizzato nella sua capacità di innovare.
Quanto conta e quanto rappresenta la creatività nella professione di designer?
La creatività è il “muscolo” più importante per il designer, ma non solo. É un valore che andrebbe coltivato e incentivato in tutti i settori, bisognerebbe dargli molto più spazio e dovremmo celebrarla di più. Senza di essa non solo non avremmo molti esempi di buon design, ma neanche il made in Italy.
Qual è il futuro per il designer?
Il design è una disciplina sempreverde, come tutte le cose evolve in funzione di nuove necessità produttive o economiche. Ha la straordinaria capacità di adattarsi a diversi ambiti della vita dell’uomo e si identifica con le sue abitudini. Impossibile stabilire che futuro avrà il ruolo del designer.
Gratifica più l’idea o il prodotto?
Il percorso nel mezzo è senza dubbio la parte migliore del processo creativo, soprattutto quando si lavora in ambito sperimentale. Ad esempio lavorando con i materiali industriali è sempre interessante vedere come si comportano, dal momento che alcuni di essi (i miei preferiti poliuretani e siliconi) rispondono a condizioni ambientali come l’umidità o la temperatura, influenzando il risultato finale. Progettare tenendo conto di questi margini di variabilità è molto interessante e stimolante anche per la creazione di oggetti o ambienti che seguono il linguaggio dell’imperfezione.
Quale ritieni sia il contributo del design alla società e quanto incide nelle scelte delle persone?
Il design riveste un ruolo importante in ambito sociale fin quando è deputato a servirne le esigenze o magari ad ispirarle. Non solo, può anche essere un termometro sociale e sicuramente un indicatore culturale. Purtroppo ultimamente il design è utilizzato solo nella sua accezione estetica, e dunque è relegato al mero ruolo di consolidamento e decorazione di vecchie abitudini.
A cosa lavori in questo momento?
Sto indagando in diversi ambiti del design, in questo momento lavoro a tre progetti di diversa estrazione, dalla moda all’interior. Riuscire ad essere trasversale per me è molto importante, e credo che la specializzazione sia molto limitante e noiosa.