Suburra (Film, 2015)

Stefano Sollima porta al cinema un romanzo di successo scritto da Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, opera ambiziosa sul degrado morale della capitale, tra bande criminali e corruzione del potere, sullo sfondo le dimissioni del Papa e una crisi di governo. Il film si svolge in sette giorni che raccontano la fine di un’era politica, fino alla cosiddetta Apocalisse che sfocia in una sanguinosa guerra tra bande.

Nell’antica Roma la suburra era il luogo deputato agli incontri tra potere e criminalità, un luogo ancora vitale, visto che un onorevole (Favino) stringe accordi con Samurai (Amendola), l’ultimo superstite della banda della Magliana, un criminale che segue un vecchio codice d’onore. Non c’è soltanto lui in questa Roma infestata dal crimine, si ritagliano uno spazio tossici violenti (Numero 8, interpretato da un allucinato Borghi) e zingari usurai (Manfredi, che ha il volto truce di Dionisi) con cui alcuni poveri disgraziati devono fare i conti. Tra questi il debole e viscido Sebastiano (Germano), figlio di un padre suicida (Fassari) caduto nelle mani degli strozzini, per questo ostaggio della delinquenza. L’onorevole Malgradi deve far approvare una legge che consentirà la speculazione edilizia e la costruzione di case da gioco in una Roma periferica nelle mani del crimine. L’idea che unisce politica corrotta e criminalità organizzata è quella di una Las Vegas nella capitale per canalizzare una fetta di denaro nelle mani di faccendieri e amministratori. Non è il caso di raccontare oltre la trama, perché il film vive di colpi di scena e suspense che conducono a un imprevedibile finale. Tra i protagonisti citiamo una bella escort al servizio del politico corrotto (Sabrina, interpretata da Giulia Elettra Gorietti) e una tossica innamorata che si trasforma in giustiziere (Viola, resa da Greta Scarano).

Suburra è un’intelligente operazione commerciale, ben realizzata da un regista talentuoso come Stefano Sollima – figlio di cotanto padre, al quale dedica il film – che darà vita a una serie televisiva di 10 episodi, il primo Netflix Original italiano. Un film che si svolge in sette giorni, in una Roma notturna e piovosa, con una fotografia ocra, color pastello, sottolineato da una colonna sonora cupa e angosciante. Un noir duro e intenso che descrive un paese sull’orlo del baratro e una guerra tra bande in una capitale priva di guida politica e morale. Stile di regia originale, frammentario, rapido, basato sulla ricerca di immagini scioccanti, con dialoghi secchi ed essenziali. Purtroppo il tono è da fumetto nero, i personaggi non sono approfonditi, la sceneggiatura è piena zeppa di incongruenze e di sequenze irreali. Una su tutte il politico corrotto che si fa largo tra la folla inferocita e nessuno lo riconosce, anzi, viene fatto passare. Non solo. Il figlio del politico viene rapito, potrebbe essere ucciso, e lui se ne va tranquillo in Parlamento, vota la legge, si vanta del suo potere, insegue il Presidente della Repubblica per scongiurare la crisi di governo. La lunga sequenza ambientata nel supermercato romano che mostra la banda degli usurai a caccia di Numero 8 per ucciderlo è così eccessiva da risultare fastidiosa.

Suburra si basa sulla spettacolarità delle situazioni, sulle sequenze di violenza gratuita, cita il poliziottesco e il noir anni Settanta (da Sollima padre a Fernando di Leo, passando per Umberto Lenzi) con inseguimenti cittadini (una sola scena) e sparatorie nei centri commerciali. Troppo eccessivo per essere realistico, molto americano per essere un film italiano, segue il modello tracciato da Romanzo criminale, Gomorra e Acab, opere precedenti di un regista interessante.

Attori modesti, molto televisivi, soprattutto Amendola e Favino, che sembrano inadeguati, non da meno il caricaturale Adamo Dionisi, fin troppo vigliacco Elio Germano, mentre Alessandro Borghi è un tossico tipico. Personaggi monodimensionali, da serie televisiva, persone che scompaiono nel tipo rappresentato, ma non si sa niente della loro vita, dei loro tormenti. Per questo non gridiamo al capolavoro, come fa molta critica contemporanea che rischia di cadere in errore opposto rispetto al passato, quando venivano sottovalutate opere interessanti e originali. Adesso si rischia di promuovere un dignitoso progetto commerciale allo status di opera d’arte. Mi pare francamente eccessivo.

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Regia: Stefano Sollima. Soggetto e Sceneggiatura: Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo (romanzo), Stefano Rulli, Sandro Petraglia (storia cinematografica). Fotografia: Paolo Carnera. Montaggio: Patrizio Marone. Scenografia: Paki Meduri. Costumi: Veronica Fragola. Colonna Sonora: 13 tracce degli M 83.  Produttore: Riccardo Tozzi, Marco Chimenz, Giovanni Stabilini, Eric Nevé, Matteo De Laurentiis. Paesi Produzione: Italia – Francia. Case di Produzione: Cattleya, Rai Cinema, La Chauve Soris, Cofinova 11, Cinemage 9. Distribuzione: 01 Distribution. Durata: 130’. Genere: Noir. Interpreti: Pierfrancesco Favino (On. Filippo Malgradi), Claudio Amendola (Samurai), Alessandro Borghi (Aureliano “Numero 8” Adami), Elio Germano (Sebastiano), Greta Scarano (Viola), Giulia Elettra Gorietti (Sabrina), Adamo Dionisi (Manfredi Anacleti), Giacomo Ferrara (Alberto “Spadino” Anacleti), Antonello Fassari (padre di Sebastiano), Jean-Hugues Anglase (cardinale Berchet).

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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Un Commento

  • Condivido. Fatta salva la splendida fotografia, che rende poetico perfino l’aspetto di Fiumara, foce principale del Tevere, il film adotta un linguaggio surreale che trasforma in barzelletta i mali purtroppo drammatici di Roma. Un’occasione mancata. Peccato.

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