Expo e futuro
Ho ascoltato con estrema attenzione il discorso del Presidente del Consiglio al Piccolo di Milano a proposito del futuro dell’area dell’Expo. Sono lontano chilometri dal PD, ma mi è parso un discorso di buon spessore, elevato rispetto al livello a cui ci ha abituati la politica negli ultimi anni.
Mi è piaciuto che il Premier abbia avuto l’eleganza di ringraziare tutti quanti hanno lavorato per quell’iniziativa, includendovi Berlusconi, Formigoni, la Moratti. Andava da sé? Niente affatto! Avrebbe Berlusconi ringraziato Prodi in una circostanza simile? O Veltroni? La verità è che a questa elementare cortesia istituzionale non eravamo più abituati. Mi è piaciuta la rivendicazione della cultura come uno dei nostri valori fondamentali. E mi è piaciuto il tono ottimista. Sono tra quelli che pensano che l’Italia sia un grande Paese, uno dei più grandi nel mondo, non solo per il suo passato e i suoi tesori artistici, ma per le sue risorse civili ed umane. Troppo spesso ci piangiamo addosso. Troppo spesso diamo di noi stessi al mondo un’immagine che poi il mondo prende per buona. Ho servito per più di quarant’anni il mio Paese e lo so bene: siamo ben altro che il paese del bunga-bunga o dei teppisti dei centri sociali. Siamo ben altro che il paese che si diletta alle volgarità di Salvini e di Grillo. E di una cosa sono certo: chi parla di noi e dell’Europa in termini di inevitabile, inarrestabile declino, prende lucciole per lanterne e sarà amaramente deluso. Che qualcuno ce lo ricordi, e ci ricordi cos’è veramente l’Europa, quale ideale rappresenti, mi va bene. E se questo è accompagnato da una buona dose di retorica patriottica, va bene anche questo. Lo preferisco a chi brucia la nostra bandiera e vorrebbe dividerci in chissà quanti pezzi. Lo preferisco a chi si avvolge nella bandiera per rivenderci estremismi superati.
Ma al di là di questi sentimenti, aspettavo di sapere cosa ha in programma il Governo per il futuro dell’area dell’Expo, perché sono convinto che lì si gioca una parte non indifferente del nostro futuro. Non si tratta del futuro dell’area Expo, ma dell’area Expo come strumento per il futuro: il nostro futuro, quello dei nostri figli (e, nel mio caso, nipoti). Il proposito di farne un polo di ricerca scientifica di alto livello, con il concorso dello Stato, delle Università e dei privati, mi è parso ottimo, per una ragione evidente: nel mondo del terzo millennio, non avremmo nessun futuro se non stessimo al passo coll’evoluzione scientifica e tecnologica, anzi, se non fossimo nel gruppo di punta. Va benissimo aver prodotto il Colosseo e la Cappella Sistina, ma i Paesi che contano sono ora quelli che producono innovazione e, sì, che producono Premi Nobel per la Scienza, cosa nella quale siamo indietro tra i grandi del mondo del cui gruppo vogliamo far parte.
Se il polo scientifico di Milano può aiutare a colmare in parte questo deficit, ben venga. Ma è chiaro che resterà nel libro dei sogni se il Governo non farà seguire i fatti alle parole, se il miliardo e mezzo di euro previsto non sarà speso davvero e bene, senza lacciuoli burocratici e senza le mani obbrobriose della corruzione. E se tutti collaborano, senza distinzione di parte, proprio tutti: Regione, Comune, Università, privati, Parlamento, mezzi d’informazione. E anche i cittadini, almeno facendo sentire la loro approvazione e il loro appoggio, come lo hanno fatto sentire lungo tutta la durata dell’Expo. Come lo hanno fatto sentire (e mi riferisco specialmente ai milanesi) reagendo con straordinaria intelligenza alla vergogna perpetrata da quei pochi che volevano sporcare una festa italiana. L’occasione è troppo bella per sprecarla perché ci sta antipatico Matteo Renzi (cosa ovviamente lecita). Non sciupiamola con le nostre eterne beghe di parte. Non facciamone una delle nostre risse da pollaio. Il futuro di tutti è in gioco.