Birmania: “Lady”, dalla prigione al potere

Anche se la Costituzione le vieta di diventare Presidente, Aung San Suu Kyi ha ampiamente vinto le elezioni. Ma la Birmania non ha ancora finito di convivere con i suoi demoni e le due divisioni.

Dalle sbarre della prigione d’Insein a Rangoon, alle marce, al potere. Come Nelson Mandela dalle celle di Robben Island alla Presidenza del Sudafrica. Il destino di Aung San Suu Kyi ha superato un altro ostacolo con la vittoria delle elezioni politiche da parte del suo Partito, la Lega Nazionale per la Democrazia (NLD). La vittoria è stata schiacciante. Con più del 70% dei seggi  (numeri dati dal suo Partito), l’oppositrice birmana trionfa alle prime elezioni libere organizzate nel suo Paese. Il suo Partito ha ottenuto la maggioranza assoluta in Parlamento, nonostante la presenza di un quarto di deputati militari. Secondo le cifre ufficiali, la partecipazione ha raggiunto l’80% dei 30 milioni di elettori. “Penso che il popolo abbia già un’idea dei risultati anche se non dico niente”, ha dichiarato Aung San Suu Kyi davanti alla folla riunita davanti alla sede del suo Partito in pieno centro di Rangoon.

“L’alba di un nuovo giorno”, titolava il quotidiano ufficiale Globe New Light of Myanmar.  M se gli ex generali al potere dal 2011 si sono presentati come grandi riformatori, e hanno promesso di rispettare il risultato delle urne, i segnali di tensione si sono moltiplicati nei giorni precedenti alle elezioni con l’arresto di studenti attivisti, con la privazione a centinaia di migliaia di musulmani del diritto di voto, con l’oscuro voto anticipato e lo scrutinio annullato nelle regioni in preda a conflitti etnici. Anche se a Rangoon il voto di Domenica scorsa si è nel complesso svolto bene, secondo le prime stime della missione di osservatori europei, autorizzati per la prima volta ad assistere a delle elezioni in Birmania, il Segretario di Stato americano John Kerry si è mostrato molto prudente commentando con un tiepido: “Se queste elezioni sono un importante passo in avanti, sono lontane dall’essere perfette”.

La popolarità di Aung San Suu Kyi nel suo Paese è innegabile, ma nessun sondaggio permette di quantificarla in modo chiaro. I’unico elemento di paragone rimane le elezioni del 1990, ultime elezioni nazionali libere, vinte con grandissima maggioranza dall’LND, nonostante Suu Kyi non avesse potuto partecipare, essendo allora agli arresti domiciliari. La giunta non aveva però riconosciuto la votazione. Ma venticinque anni dopo, la situazione è cambiata, affermano gli eredi della giunta, promettendo questa volta di non barare. La Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi deve ottenere 330 seggi nelle due Camere del Parlamento (cioè il 67% secondo i calcoli del Partito) per avere la maggioranza. Questo tenendo conto del fatto che dovrà contrastare l’influenza del 25% dei deputati militari non elette che siedono in Parlamento, eredità della giunta che “Lady” ha promesso di smantellare. Il Partito al potere, l’USPD, non avrà bisogno che del 33% dei seggi per dominare, secondo questi calcoli, grazie al sostegno del 25% dei deputati militari.

La vera posta in gioco che si cela dietro a queste elezioni politiche è l’elezione da parte del Parlamento del Presidente, che dovrebbe avvenire all’inizio del 2016. Se l’LND ottiene la maggioranza in seno alle due Camere, potrà decidere chi sarà il prossimo Presidente. Aung San Suu Kyi sa già che non potrà ottenere quella carica, vietando la Costituzione birmana l’accesso a questo carica suprema a chiunque abbia dei figli di nazionalità straniera, cosa che avviene nel caso di Suu Kyi . Ma ha già avvisato i detentori del potere, ancora largamente controllato da ex militari, che sarà “al di sopra del Presidente”. Nell’attesa del nuovo Presidente si guarda al futuro prossimo, un futuro in mano ad un Governo guidato dall’LND e soprattutto a cui capo ci sarà Aung San Suu Kyi. Incarico forse più complicato che quello di Capo di Stato.

La prima sfida dell’icona della lotta per la libertà dalla giunta militare, sarà quella di mettere in funzione un sistema federale che ottenga il sostegno della maggioranza dei birmani. Per riuscirci, dovrà trarre ispirazione da suo padre, Aung San, fondatore della Birmania indipendente nel 1946. Come lui, rappresenta lo spirito di Panglong, dal nome degli accordi che hanno permesso la riconciliazione e l’unita nazionale. Riuscirà a pacificare la Birmania? Molte etnie non hanno firmato il cessate il fuoco tanto decantato dal Presidente Thein Sein lo scorso 15 ottobre. Il cessate il fuoco non vuol dire “pace”, i negoziati non hanno fatto che cominciare. Oppresse da decenni, le minoranze etniche (Karen, Shan, Kachin, Wa…) vogliono far rispettare i propri diritti. A lungo termine, questi popoli, che rappresentano un terzo della popolazione, vogliono vedere emergere il modello federale, che metterebbe tutto il Paese su una base di eguaglianza. Suu Kyi, eletta deputato nel 2012, non si è finora mai veramente impegnata in favore delle minoranze etniche.

L’elezione non risolve tutto. Diversi altri ostacoli si trovano sulla sua strada: i militari sono fermamente contrari a qualsiasi idea di decentralizzazione, il sistema scolastico è ridotto in uno stato deplorevole, le infrastrutture sono inesistenti, la corruzione e la povertà sono endemiche.  Le domande davanti a queste difficoltà si moltiplicano. Suu Kyi  ha intorno a se persone di fiducia? Definita autoritaria, una che delega raramente, la “Lady ha, negli ultimi anni, fatto il vuoto intono a se. Ha allontanato vecchi compagni di strada e stranieri che l’avevano appoggiata durante la sua lunga prigionia. Ha anche preso le distanze con la “Generazione 88”, che raggruppa studenti imprigionati dalla giunta, dopo le manifestazioni dell’Agosto del 1988. Soprattutto dai sui leader, Min Kon Naing e Ko Ko Gyi. Su chi si appoggerà nella formazione del suo Governo? Membri dell’LND dicono a mezza voce che i posti chiave, in seno al Partito, sono occupati da uomini d’affari , che approfittano della loro posizione politica per fare “business”. In molti si rammaricano per l’allontanamento dei “Vecchi Saggi” del movimento.

Altra fonte di preoccupazione: la “Lady” è in grado di dirigere il Paese? Nessun processo alla sua persona, ma la domanda intriga la comunità internazionale. E’ stata soprattutto la stampa americana ad insinuare il dubbio sulla cultura economica di Aung San Suu Kyi. Inoltre, anche se sconfitto, l’USPD rimane onnipresente. E’ ovunque, in tutti gli ingranaggi dell’Amministrazione. Di fonte a lui, l’LND, che muoverà i primi passi nell’esercitare il potere, disporrà di una cornice sufficientemente qualificata per occupare il territorio e imporsi? Tornando alla domanda precedente: Suu Kyi ha una squadra competente intorno a sé? Dovrà in ogni caso far prova di grande sensibilità politica per spegnere un altro fuoco: quello che i monaci buddisti estremisti stanno accendendo in un po’ tutto il Paese. Tra loro, Wirathu, monaco influente di Mandalay, molto coinvolto nelle violenze contro i musulmani. Reputato essere vicino ai militari, questo monaco, che con qualche altro confratello ha creato il movimento Ma Ba Tha, potrebbe mettere a ferro e fuoco il Paese se la Lady difendesse la comunità musulmana. A 70 anni, Aung San Suu Kyi potrebbe dover affrontare la sua sfida più dura.

Per ora lasciamo la Birmania cantare il suo “svegliati Birmania!” a voce alta, squarciando il silenzio della radio del regime uscente. Tra la folla festante di questi giorni, la speranza per una vita migliore è palpabile. E’ una folla giovane, è questo il loro momento.

©Futuro Europa®

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