Separati in casa, il ruolo dell’Europa

Amo la Spagna. Venendo da una terra, la Puglia, che è stata fortemente influenzata nei secoli dalla presenza spagnola, dalla sua cultura, dai suoi costumi, la considero un po’ una seconda patria. Quando mi trovai la prima volta a Granada, sentii quell’impressione che Elias Canetti descrive per il suo arrivo a Marrakesch: “sono tornato a casa”. E naturalmente la Spagna è per me, come per tanti altri che la amano (specie in America Latina) un tutto unico, con Toledo, l’Andalusia, Madrid, Salamanca, Siviglia, il Paese basco, Barcellona. Ma essa è minacciata da una dolorosa lacerazione interna. Catalani e Baschi se ne vogliono andare. Le recenti decisioni del Parlamento della Catalogna hanno di fatto avviato il processo di creazione di uno Stato indipendente. Il Governo di Madrid ha reagito impugnando la decisione davanti alla Corte Costituzionale, la quale gli ha subito dato ragione. Ma il Capo del Governo catalano ha seccamente commentato che “rispetterà le decisioni del Parlamento”. Il sentimento separatista è diffuso, ed è logico che i politici locali si posizionino per raccoglierne il vantaggio. È anche logico, anche se deplorevole, che un mediocre leader locale sogni di essere il capo di uno Stato indipendente, il “padroncino” libero dai condizionamenti di un Governo centrale. D’altra parte, se si mette in discussione l’intero impianto statale della Spagna, è abbastanza logico che non si riconosca l’autorità di uno dei suoi organi centrali, la Corte Costituzionale, appunto.

Cosa succederà adesso? Una prima indicazione verrà dalle elezioni in corso in quella Regione. Se vinceranno i separatisti, nelle loro diverse articolazioni, sarà difficile fermare il processo o deligittimarlo politicamente. È probabile dunque che nei prossimi mesi si assista a un traumatico scontro tra due principi: quello della legalità costituzionale e quello della volontà popolare. È solo da augurarsi, per il bene di quel caro Paese, e degli stessi catalani, che il processo non sfoci in una disastrosa guerra civile, come ne abbiamo viste in Jugoslavia, in Ucraina e altrove.

Soagna - CatalognaCosa significherebbe per la Spagna la perdita della Catalogna? Un colpo non mortale, ma serio. Quella Regione rappresenta più o meno, per popolazione e PNB, un sesto dell’intero Paese, ed è una delle sue zone economicamente e tecnologicamente più avanzate. Senza la Catalogna, la Spagna sarebbe un po’ più piccola, peserebbe meno in Europa e nel mondo. Come sarebbe successo alla Gran Bretagna se si fosse verificata la separazione della Scozia. Come succederebbe al Belgio, se maturasse la separazione voluta dai fiamminghi. E all’Italia, se dannatamente riuscissero i disegni leghisti. E cosa conterebbe la piccola Catalogna? Ben poco, direi, in un mondo di giganti. I Catalani sono parte di un Paese che pesa, che è protagonista, per il suo slancio espansivo, in America Latina, appartengono a un’area linguistica e culturale tra le maggiori del mondo. Fuori di essa, saranno una piccola isola, con una lingua che parlano solo loro, sette milioni di persone (lo spagnolo è parlato da un Continente intero). Ma questo i separatisti non lo capiscono: l’ansia di riscossa per torti lontani nei secoli li rende ciechi e sordi alla ragione. Nel caso loro, come dei Fiamminghi e degli Scozzesi, qualche lontana rivendicazione rispetto a gruppi etnici un tempo dominanti ci sono, anche se superati e patetici nel Terzo Millennio. Quanto all’Italia, il fatto  è che queste rivendicazioni sarebbero casomai al rovescio: è il Nord “separatista” che a suo tempo ha assorbito e in parte colonizzato, il resto d’Italia. Sarebbe comprensibile che a “liberarci” pensassimo noi, il vecchio popolo un tempo “borbonico”. Anche se, malgrado qualche solleticamento salviniano, nessuno di noi è tanto stupido da pensare a una cosa così aberrante.

Ma l’insensatezza umana ha una sua dinamica a volte fatale ed è possibile che Catalani e Fiamminghi riescano a separarsi. Dove andranno a finire? Penso che ambedue chiederebbero di rimanere nel seno dell’Unione Europea, mantenendone il libero mercato, la moneta, i fondi d’aiuto  (mentre per la sicurezza e la difesa servirebbe la permanenza nella NATO). Che farebbe l’Europa? Probabilmente all’inizio ci sarebbero difficoltà ad accettare questi corpi separati, se la separazione avvenisse in modo illegale e conflittuale e le Nazioni di origine vi si opponessero. Ma alla fine la realtà s’imporrebbe e verrebbe fuori un’altra delle ragioni di necessità di un’Europa fortemente integrata: fare da antidoto ai frazionamenti, da contenitore delle eventuali nuove entità statali, che altrimenti sarebbero allo sbando. Avendo sempre presente che viviamo in un mondo e in un’epoca in cui l’economia è guidata da un ristretto numero di giganti: Stati Uniti, Cina, India, Giappone, Russia, Unione Europea. Guardiamo alle cifre: con una popolazione superiore al mezzo miliardo di persone, con un PNB annuale di 13,519,7 miliardi di euro e un Prodotto procapite di 26.000 euro, l’Europa rappresenta a fianco degli Stati Uniti l’area più prospera del mondo. Così può far valere la sua voce, e non soltanto in campo finanziario e commerciale, ma anche scientifico, tecnologico, culturale e, alla fine, politico. Isolati, in ordine sparso, i suoi membri (persino la Germania) sarebbero esposti a tutti i venti e vulnerabili a tutte le speculazioni.

Perciò, se gli intenti secessionisti alla fine dovessero realizzarsi in Spagna o in Belgio (penso che l’Italia sia vaccinata contro questa ipotesi) la cosa da augurare a quei popoli è di restare, in qualche modo, come “separati in casa”: la casa comune, la sola possibile, l’Europa unita.

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