Parigi, dopo gli attentati i musulmani temono rappresaglie
Gli attacchi sono stati commessi da jihadisti, per questo motivo i membri della comunità musulmana temono ora di essere messi all’indice e di subire rappresaglie.
Dopo gli attentati della scorsa settimana, i musulmani francesi temono vedersi riaprire il ciclo di pericolosi collegamenti, se non vere rappresaglie, contro di loro, anche se i militanti del dialogo interreligioso tentano di rassicurarli sulla tenuta dell’unità della società. Secondo l’Osservatorio contro l’Islamofobia del Consiglio francese del culto musulmano (CFCM), già la notte successiva agli attacchi che hanno causato a Parigi la morte di più di 130 persone, alcune croci dalle quali scivolava vernice rosso sangue sono state disegnate sui muri della Moschea di Crèteil. Altre scritte, soprattutto “Francia svegliati!”, sono state scoperte sulle porte di una sala di preghiera musulmana e di una macelleria Halal a l’Oloron-Sainte-Marie, nei Pirenei Atlantici.
L’Osservatorio rende anche noto il pestaggio di un uomo di origini maghrebine, avvenuto sabato scorso a Pontivy (Morbihan), durante una manifestazione contro i migranti organizzata da un manipolo di regionalisti identitari. I referenti musulmani, soprattutto i responsabili dei due luoghi di culto presi di mira, non hanno dato eco mediatica a questi incidenti, in una Francia che piange le sue vittime. Il Presidente dell’CFCM, Abdellah Zekri, ha fatto sapere che in realtà si aspettava addirittura “più manifestazioni antimusulmane dopo gli eventi tragici di venerdì”. Nella sua memoria è ancora viva “l’esplosione” di atti carichi di odio perpetrati nei loro confronti subito dopo gli attentati contro il settimanale satirico Charile Hebdo: 21 interventi (colpi di pistola, lancio di granate) e 33 minacce (lettere, insulti) in cinque giorni. Ma è dispiaciuto per il “preoccupante silenzio” che avvolge, da quel tragico venerdì, le prime manifestazioni di ostilità. “Sono sicuro che il fenomeno si rafforzerà”. Non posso che fare ai musulmani di Francia appello alla prudenza”, dichiara il Segretario Generale del CFCM. “Se andiamo verso altri scontri, se alcuni individui approfittano di questo lutto che coinvolge tutti noi per seminare il panico, è Daesh (l’organizzazione Stato Islamico) che avrà vinto, visto che il suo fine è montare le comunità le une contro le altre”, precisa. L’attivo collettivo contro l’islamofobia in Francia (CCIF) ha, da parte sua, chiesto che tutti “rimanessero solidali e uniti”, “la migliore risposta che si possa dare ai tentativi di divisione”. Stessa linea di pensiero tra i protagonisti del dialogo interreligioso, che temono che l’unità della società che emerge dai discorsi politici e mediatici pronunciati negli ultimi giorni, possa rapidamente sgretolarsi. “Oggi più che mai sono necessari sia la comunione nella preghiera che il rifiuto di atti di violenza”, afferma il Gruppo di amicizia islamo-cristiana (Gaic).
Anche l’associazione “Coexister”, collettivo di giovani credenti e agnostici, si è attivata, soprattutto sulla rete, sotto l’hashtag #NousSommesUnis. Ha anche lanciato #VoisinsUnis, una operazione che ha come obbiettivo di “moltiplicare i luoghi di incontro” dove poter “pronunciare anche l’indicibile”. Come far risaltare la propria solidarietà alle vittime e lottare contro il rischio di collegare pericolosamente ed erroneamente i musulmani tutti agli attentati del gruppo IS, effettuati in “nome di Allah”? Il CFCM e tutte le grandi federazioni musulmane hanno condannato molto rapidamente e con grande forza la “barbarie” degli attacchi parigini, appoggiando l’”unità della nazione”. E’ sufficiente? Personalità dalla sensibilità molto diversa, dal rettore liberale bordolese Tareq Oubrou al salafista quietista Rachid Abou Houdeyfa, Imam di Brest, hanno dei dubbi. Il primo ha chiesto ai musulmani di “non rimanere passivi” e “partecipare ai dibattiti” per non lasciare che quella gente (gli jihadisti, ndr) si approprino della religione”. In un video postato sulla sua pagina di Facebook, l’Imam di Brest, ha fatto appello a coloro che lo seguono – numerosi sulla rete – di “agire concretamente”, per esempio con segnali di sostegno alle famiglie delle vittime. Il rettore della grande Moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, ha chiesto che “tutti i musulmani di Francia manifestino in qualsiasi occasione la loro profonda indignazione”. Già lunedì scorso a mezzogiorno, partecipando al minuto di silenzio, molti di loro hanno dato un segnale, e venerdì associandosi all’”invocazione religiosa per le vittime” organizzata dalla Grande Moschea.
Se è vero che Daesh vuole portare all’instabilità sociale e alla conseguente lotta tra comunità, è anche vero che il rispetto dell’altro si ottiene solo con il contatto, con il dialogo, con la conoscenza di ciò che è “altro”, e l’unico modo è far si che tutte e due le voci si facciano sentire in egual misura. I musulmani hanno il diritto e dovere di far si che i media parlino delle loro iniziative non solo quando queste hanno risonanza negativa. E’ faticoso e anche forse pericoloso, ma in questo momento storico nessuno può concedersi il lusso di tacere. Daesh usa i media a meraviglia, arriva ovunque ci sia un segnale di debolezza, di disagio sociale. Se ci riescono loro, perché non può farlo anche chi ha qualcosa di giusto da dire? Troppo spesso sentiamo il binomio musulmano/terrorista. Questo è fare il “loro” gioco. Basta con gli equivoci e superficialità. Questo vale per tutti i musulmani, non solo per quelli di Francia. Le responsabilità dell’Occidente sono molte, dalla colonizzazione all’integrazione solo apparente di comunità di vecchia e nuova immigrazione in realtà discriminate e ghettizzate economicamente e socialmente. Lo dobbiamo riconoscere come primo passo verso la ricerca di una politica più solidale,più rispettosa e soprattutto più sensata. Ma il compito spetta anche agli islamici. Vi è chi ritiene oggi inaccettabile pretendere da chi non ha alcun rapporto con i violenti una presa di posizione delle loro azioni, ma è diventato necessario. Se vogliamo spezzare una spirale che minaccia di travolgerci tutti e ridurci ad un più basso livello di umanità e civiltà, ci sarà molto lavoro da fare. Per tutti, musulmani e non.