L’Argentina volta pagina
Con l’elezione di Maurizio Macri a Presidente della Repubblica, l’Argentina ha voltato pagina dopo 12 anni di governo peronista della famiglia Kirchner. Nelle elezioni del 2011, Cristina Kirchner aveva ottenuto il 54% dei voti. Domenica scorsa, il candidato del Governo Daniel Scioli ha raggiunto il 48,60. Quasi il 6% degli elettori (cioè più di due milioni di persone) ha quindi voltato le spalle, non tanto forse al peronismo (che resta un dato permanente e diffuso nella politica argentina) quanto al regime instaurato dalla Presidente nei suoi due mandati.
Nei dodici anni complessivi di governo dei Kirchner, ci sono luci e ombre: da un lato, la vantaggiosa rinegoziazione del debito, la riapertura dei processi ai torturatori della dittatura, la rinazionalizzazione dell’YPF (l’ENI argentina), l’ampliamento dell numero degli aventi diritto a pensione, l’assegnazione universale per figlio ai lavoratori dipendenti, una buona politica di ricerca scientifica, un certo sostegno alla cultura; dall’altro lato, ci sono il crescente deficit di bilancio, l’assenza di investimenti esteri, l’inflazione al 25-30%, che erode qualsiasi avanzo salariale pur garantito dalle negoziazioni annuali, l’insicurezza crescente nelle grandi concentrazioni urbane, la crescita del traffico di droga, l’aver riempito la Pubblica Amministrazione di militanti scelti senza concorso, vari casi di corruzione, il tentativo di controllare la Magistratura e la stampa, una politica estera unidirezionale, che ha allontanato l’Argentina dai suoi partner occidentali ma anche dai suoi vicini e soci del MERCOSUR. E, di recente, c’era l’ombra della morte del sostituto procuratore Nisman, ucciso in condizioni ancora non chiarite alla vigilia di una sua testimonianza davanti al Parlamento in cui avrebbe denunciato l’accordo con l’Iran firmato nel 2013. Ma forse più di tutto hanno giocato un certo stile egocentrico e confrontativo, portato a dividere il Paese tra amici e nemici, buoni e cattivi. Ne ha fatto le spese il candidato del Governo, Daniel Scioli: una persona nota per la mitezza del suo carattere e la sua volontà di dialogo, non sfiorata da sospetti di corruzione e certamente rispettosa degli equilibri istituzionali. Sarebbe stato un più che dignitoso presidente, ma è rimasto ingabbiato nell’immagine di un passato dal quale non ha voluto o potuto prendere nettamente le distanze, quando era chiaro che la maggioranza degli argentini chiedevano un cambiamento.
Maurizio Macri ha interpretato questa volontà di cambio e ha avuto l’intelligenza, negli ultimi mesi della sua campagna, di promettere di mantenere quanto di buono c’è nel passato. Non dunque di fare tabula rasa, ma di costruire un futuro migliore. Egli rappresenta una pagina nuova e ancora tutta da scrivere. Come sarà? Il tempo solo può dirlo. Calabrese di origine, molto attaccato all’Italia, è figlio di uno dei maggiori imprenditori argentini. Lo conobbi che aveva meno di 40 anni ed era Presidente del Club di calcio della Boca, che aveva saputo risanare e portare a grandi risultati. Lo presentai a Ciampi, allora Presidente della Repubblica. So che ha buoni rapporti con Renzi. Non ha mai nascosto la sua ambizione di diventare dapprima Sindaco di Buenos Aires, carica che poi ha tenuto con successo per otto anni, poi Presidente della Repubblica. Suo padre, il mio amico Franco, giudicava queste sue ambizioni incomprensibili e sbagliate, pensando che Maurizio dovesse dedicarsi agli affari della famiglia. Tanto più che, invece di incapsularsi in uno dei due grandi partiti tradizionali, peronista e radicale, egli aveva avuto il coraggio e la lungimiranza di creare da zero un movimento politico nuovo, tutto suo, il PRO, che poi in queste elezioni ha saputo allearsi con il radicalismo. La sua vocazione a servire il bene comune non è nuova nella sua famiglia: uno zio, Tanino Macri, aveva anch’egli abbandonato gli affari per dedicarsi interamente alla Comunità italiana, che rappresentava nel Consiglio Generale degli Italiani all’Estero. Era Presidente dell’Ospedale Italiano di Buenos Aires, che aveva risanato finanziariamente e portato al grado di eccellenza cui è oggi. Si preparava a candidarsi alle prime elezioni all’estero, ma la morte lo portò via prima del 2006.
Attorno a Maurizio Macri, gli avversari avevano cercato di creare un’atmosfera sulfurea, quasi di un nuovo Hitler: lo si dipingeva come un amico dei ricchi, che avrebbe distrutto lo stato sociale, liberato i responsabili dei crimini della dittatura e così via. Era una distorsione grottesca. Maurizio è un tecnocrate, certamente non populista ma neppure reazionario, né un maniaco delle privatizzazioni, come ha dimostrato nella sua gestione di Buenos Aires. È felicemente sposato con una bella e cara giovane donna di origine libanese, Juliana Awada, nostra amica da quindici anni, e ha quattro bei figli a cui è attaccatissimo. Un profilo, certamente, molto lontano da quello di un novello Hitler.
Ora, su di lui si sono addensate molte attese e molte speranze: in un’economia che riprenda a crescere, in un Paese che si riapra al mondo, in una società non più divisa, in un sistema di consenso e di dialogo, in un maggior reciproco rispetto tra le istituzioni repubblicane, in un maggior professionalismo nella gestione della cosa pubblica, in una lotta senza incertezze all’insicurezza, al narcotraffico, alla corruzione. E allo stesso tempo gli si chiede di non cancellare o disperdere i molti vantaggi che le classi più umili hanno ottenuto in questi dodici anni. Parte in condizioni di obiettiva difficoltà, avendo ereditato una situazione finanziaria pesante e non disponendo di maggioranza propria in Parlamento. Dalla sua ha l’appoggio della classe media, che forma l’ossatura del Paese, e il fatto di avere governanti politicamente affini nelle province più popolose ed economicamente attive del Paese: la Città e la Provincia di Buenos Aires e le Provincie di Cordoba , Mendoza e Santa Fè. Il peronismo, messo in crisi dalla sconfitta, dovrà ora entrare in una fase di riassetto interno, per cui non è da prevedere un’opposizione feroce, specie da parte dei Governatori di Procincia che hanno bisogno dell’appoggio dello Stato centrale e quindi di rapporti corretti con il Presidente. Ma avrà bisogno di tutta la sua abilità, buon senso, capacità di dialogo e di una buona dose di fortuna (per esempio, in materia di prezzi internazionali delle commodities).
La svolta più evidente, e anche la più agevole e rapida, riguarda la politica estera. Il neo-eletto è uomo dell’Occidente. Non credo che farà gesti inutilmente ostili a Russia e Cina, ma certo le sue priorità sono riaprire il dialogo con Brasile, Stati Uniti ed Unione Europea. Questa svolta non sarà senza conseguenze sull’intero scenario latinoamericano. Negli ultimi dieci o dodici anni, l’Argentina si era più o meno allineata ai regimi populisti, da Cuba all’Ecuador, e soprattutto al Venezuela chavista, su posizioni polemiche con Stati Uniti ed Europa. Questo allineamento viene oggi a cadere. Tra le cose che Macri ha annunziato di voler fare è denunciare il Venezuela per le violazioni della democrazia e dei diritti umani. La voce dell’Argentina, all’ONU e in America Latina, sarà dunque d’ora in poi una voce moderata e amica dell’Occidente. Quanto questo possa valere in una fase in cui l’Occidente è impegnato in una battaglia storica in difesa della propria civiltà, credo sia evidente.
Quanto ai rapporti con l’Italia, si riaprono ovviamente opportunità che dobbiamo saper cogliere, con impegno e con generosità, aiutando questo Paese a tornare a crescere. Pare che la prima visita di Macri all’estero sarà a Brasilia, dove già lo ha invitato Dilma Russeff. Mi piacerebbe molto se la seguente fosse in Italia. E mi piacerebbe che, tra i primi leader europei a visitare il nuovo Presidente, fosse il Presidente del Consiglio italiano, a testimoniare del vincolo speciale che ci unisce.