Guerra del latte, situazione insostenibile per gli allevatori
Da un’analisi ufficiale pubblicata dalla Coldiretti denominata proprio “La guerra del latte”, riguardante i costi di produzione negli allevamenti italiani è emerso che i nostri allevatori hanno perso, nel 2015, oltre 550 milioni di euro perché il latte viene pagato al di sotto dei costi di produzione, con una riduzione dei compensi di oltre il 20% rispetto allo scorso anno su valori inferiori a quelli di venti anni fa, mentre al consumo i prezzi non calano. Nel passaggio dalla stalla allo scaffale i prezzi si moltiplicano fino a quattro volte per il latte fresco, con i centesimi riconosciuti agli allevatori che si trasformano in euro pagati dai consumatori.
L’industria ha deciso, unilateralmente, di tagliare i compensi per il latte alla stalla di oltre il 20% rispetto allo scorso anno, proponendo accordi, con condizioni molto dure, che fanno riferimento all’indice medio nazionale della Germania, con una manovra speculativa ingiustificata e quindi inaccettabile. Si è di fronte, infatti, ad una palese violazione delle norme, poiché il prezzo corrisposto agli allevatori è inferiore in media di almeno 5 centesimi rispetto ai costi di produzione, che variano dai 38 ai 41 centesimi al litro, secondo un’indagine effettuata da Ismea, in attuazione della legge 91 del luglio 2015 che impone che il prezzo del latte alla stalla debba commisurarsi ai costi medi di produzione.
Lo studio ufficiale sui costi di produzione del latte bovino elaborato in osservanza della legge 91 del luglio 2015 ha evidenziato che, nel giugno 2015, in Lombardia i costi medi di produzione del latte oscillavano da un minimo di 38 centesimi al litro per aziende grandissime, di oltre 200 capi di pianura, a prevalente manodopera salariata, con destinazione a formaggi DOP, fino ad un massimo di 60 centesimi al litro per aziende piccole di 20-50 capi di montagna o collina, a prevalente manodopera familiare, con destinazione del latte a formaggi DOP.
Il risultato è che nel 2015 hanno chiuso circa mille stalle, oltre il 60% delle quali si trovava in montagna, con effetti irreversibili sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla qualità dei prodotti. E quelle che sono sopravvissute, circa 35mila, non possono continuare a lavorare in perdita a lungo. Il settore lattiero-caseario rappresenta la voce più importante dell’agroalimentare italiano, con 35mila imprese di allevamento, oltre la metà delle quali (55%) si trova in zone montane o svantaggiate, per una produzione complessiva di latte bovino che ammonta a 11 milioni di tonnellate a fronte di 20 milioni di tonnellate consumate. In altre parole l’Italia è diventata dipendente dall’estero per quasi la metà del proprio fabbisogno in prodotti lattiero caseari.
Una caratteristica distintiva e straordinaria della produzione lattiero-casearia italiana è la sicurezza alimentare e la qualità dei prodotti. Le nostre stalle sono le più controllate al mondo (in media un controllo, diretto o in autocontrollo, settimanale) e offrono un latte dalle elevate caratteristiche nutrizionali. Per quanto riguarda invece la qualità è da sottolineare come oltre il 45% delle nostre produzioni serve a realizzare i migliori formaggi del mondo le cui peculiarità sono strettamente legate alla produzione di latte dei nostri territori. L’intera filiera genera un valore di 28 miliardi di euro al consumo con quasi 180mila occupati.
Basterebbe una certa ragionevolezza da parte dell’industria, della distribuzione alimentare e del Governo per chiudere in poco tempo la dura vertenza, per dare fiato agli allevatori e più certezze all’intera filiera. E pare che i primi segnali in tal senso siano proprio di queste ultime ore.