Lotta al terrorismo: i due fronti e il ruolo di Hollande

Gli attentati di Parigi hanno impresso una svolta drammatica alla lotta contro il terrorismo che minaccia l’Occidente, risvegliando alla fine coscienze che sembravano intorpidite, anche dopo il funesto eccidio nella redazione di Charlie Hebdo, e mostrando una determinazione nuova dei più potenti Stati del mondo, sul fronte esterno, a distruggere l’ISIS e, sul fronte interno, ad accrescere la loro collaborazione in materia di intelligence, prevenzione e repressione.

Sul fronte esterno, occorreva un elemento catalizzatore e François Hollande si è assunto questo indispensabile ruolo. Ha dovuto farlo, perché la Francia si è trovata al centro dell’odio fanatico e perché egli stesso e la sinistra francese hanno molto da farsi perdonare per la lora debolezza passata. Ha saputo farlo con la necessaria decisione e ha avuto fino ad ora notevoli successi: il primo è consistito nel voto unanime del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, poi è venuta la scontata conferma dell’appoggio di Obama, quella di Putin e ora quello della Merkel e il probabile coinvolgimento inglese in Siria. Contro il Califfato si sono dunque riunite forze poderose. Certo, nel mezzo ci si è messa la insensata azione turca contro un aereo russo. Insensata e ingiustificabile: è vero che ogni paese ha il diritto di difendersi se attaccato, ma nulla prova che il MIG russo attaccasse o minacciasse il territorio turco; un semplice sconfinamento di pochi chilometri, che per un jet a quella velocità significa un errore di pochi secondi, non giustifica un abbattimento; nessun paese davvero civile si comporterebbe così e spero che la NATO non faccia il gioco della Turchia, che già ha tanto da far dimenticare per il suo passato appoggio all’estremismo sunnita. Non so se ci sia stato da parte turca un deliberato sabotaggio, e non lo credo. Ma qualsiasi ne fosse la ragione, l’incidente ha minacciato di creare una crepa pericolosa nella coalizione anti-ISIS. Non va però sopravvalutato. Credo che l’azione diplomatica di Hollande a Mosca abbia mostrato che Putin sa bene che il pericolo dell’ISIS riguarda la Russia quanto gli altri e la sua disputa con Erdogan non può distrarlo dall’obiettivo principale. Ora più che mai, occorre che tutti si concentrino su di esso, lasciando da parte altre guerre private. Altrimenti la faccenda rischia di essere molto più difficile.

E l’Italia? Leggo varie opinioni, non tutte realistiche. L’Italia faccia quello che da buon amico e alleato della Francia, e parte integrante dell’Occidente, può fare. Sottolineo la parola “può”. Non servono fanfaronate, credo che tutti sappiamo che la nostra aviazione è meglio non partecipi a bombardamenti (anche i tedeschi si limiteranno a missioni di ricognizione e a fornire aerei cisterna). Abbiamo armato e istruito i Peshmerga. Continuiamo a farlo. Appoggiamo per quel che possiamo il governo iracheno. Se occorre sostituire i francesi in qualche parte dello scacchiere, consideriamolo, senza dimenticare che abbiamo già 6.000 uomini impegnati in missioni all’estero e le nostre risorse sono limitate. Mandiamo magari la portaerei Garibaldi in zona, per appoggiare la Charles de Gaulle. Non dimentichiamo però che la nostra priorità resta il fronte libico e a questo dobbiamo dedicare i maggiori sforzi, tanto politici quanto, eventualmente, militari.

Sul fronte interno, si sta assistendo ad una mobilitazione generale delle forze dell’ordine in tutti i paesi occidentali. Basterà? Probabilmente no, ma è necessario che continui e si sviluppi senza tregua, e che intelligence, Giustizia e forze dell’ordine dispongano di mezzi accresciuti e, se occorre, di norme più agevoli.

Da noi e anche altrove, continua esasperante la disputa tra due “mantra” egualmente irritanti: il primo è quello, tipicamente salviniano-edonista, che identifica arbitrariamente terroristi e immigrati in arrivo. L’altro, proprio di una certa sinistra ma anche di parte della Chiesa, nega che un nesso tra terrorismo e immigrazione esista. Diciamo la verità: il problema c’è, ma sta nella presenza tra noi di tanti, troppi musulmani. Solo in Italia, più di 1.600.000. Che sono in crescita naturale, se si considera che il 4.2% dei bambini che nascono in Italia (cioè molto più del doppio della proporzione musulmani-popolazione) è di religione islamica. Mettere un limite è dunque giusto. Ma intanto occorre guardare a quelli che da noi ci stanno già. Quasi 50.000 sono partiti in questo anno a causa della crisi economica, ma non basta. C’è un dato che risulta da uno studio del Ministero dell’Interno e che desta preoccupazione. In Italia, rispetto alle cinque o sei moschee conosciute e autorizzate, ci sono centinaia di luoghi di culto più o meno clandestini, tra cui almeno trecento “moschee in garage”. In queste, le comunicazioni avvengono solo in arabo e sfuggono a qualsiasi tipo di controllo. Non si tratta certo di probire il culto, ma rafforzare la vigilanza sì, e per questo cercare la collaborazione delle entità che rappresentano la Comunità musulmana in Italia. C’è poi un fenomeno speciale: circa 70.000 italiani risultano convertiti all’Islam. Fatti loro, si capisce, che nessuno può  sognarsi di censurare. Ma la stragrande maggioranza degli italiani è cristiana e ha il diritto e il dovere di difendere la propria identità. Anche per i non credenti, le nostre radici affondano nel Cristianesimo: non nei dogmi, cui ciascuno è libero di credere, ma nel messaggio evangelico, alla cui carica sconvolgente persino un filosofo ateo come Benedetto Croce diceva di non potersi sottrarre.

Per questo, mi è parso un gesto ignobile quello del prof. Parma, Preside di Rozzano, che ha abolito le celebrazioni del Natale cristiano, rendendole “laiche” perché si sarebbe trattato di una “provocazione”. No, signor Preside, la provocazione l’ha fatta lei alle famiglie dei suoi alunni cristiani. Giustamente i genitori si sono infuriati e spero che il Ministro della Pubblica Istruzione intervenga. Sono d’accordissimo che alunni non cristiani siano esentati dal partecipare alle nostre celebrazioni, perché sarebbe un’inutile forzatura. E si lasci ovviamente ad alunni islamici, ebrei, buddisti o altro, di celebrare le rispettive feste. Ma gesti come il suo, professore, costituiscono una resa vergognosa a chi vorrebbe spogliarci della nostra identità. No, signor Preside, non si permetta di toccare le nostre radici, non si permetta di spogliare i nostri bambini della magia di una festa che, per milioni di noi, continua a significare l’innocenza dell’infanzia e la nascita di una grande, meravigliosa speranza. Per tutta l’Umanità, anche se alla sua ottusità questo pare sfuggire.

©Futuro Europa®

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