Italia in guerra, dubbi e riserve
Gli interventi militari degli anni Duemila hanno sempre spaccato sia l’opinione pubblica italiana che le compagini di Governo che si trovavano a scegliere tra l’intervento militare e l’astensionismo. Purtroppo, negli anni, l’indecisione italiana non ha fatto altro che indebolire la posizione del nostro Paese all’interno della comunità internazionale al tal punto che l’attacco in Libia da parte dei francesi è stato ritenuto un vero e proprio affronto nei confronti dell’Italia. Ed è proprio il Presidente del Consiglio, dalle pagine del Corriere della Sera, che ribadisce la necessità di evitare una Libia bis a fronte di una strategia internazionale più omogenea.
Ma qual è oggi il rischio maggiore e perché si teme l’intervento armato? Innanzi tutto occorre ricordare che l’impegno militare italiano nei vari scenari internazionali è il secondo dopo gli USA e pari a quello francese, e inoltre la storia ha dimostrato che grande impegno militare in Medioriente si è spesso tradotto in attacchi terroristici sul proprio suolo nazionale.
I dubbi dell’Italia sono molti, e ancor di più sono le ripercussioni sugli interessi nazionali. Come ricordato, la ferita libica ha lasciato una cicatrice non ancora del tutto rimarginata. Gli interessi italiani nel paese nordafricano valevano miliardi di dollari e la “non strategia” interazionale ha condotto il paese in una guerra sanguinosa che ha portato lo Stato islamico ad impossessarsi dei territori dell’entroterra riaprendo il traffico dei disperati nel mediterraneo, trasformandolo nel più grande cimitero occidentale.
Benché la situazione siriana sia diversa, le ripercussioni sul nostro Paese possono essere sostanziali. Se in quel territorio la partita principale si gioca tra Russia e Stati Uniti, l’obiettivo dei due Paesi è diverso. Putin punta a mantenere il governo di Assad per difendere il porto di Tartus, la più grande base navale russa nel Mediterraneo, mentre Obama vuole ridurre l’ingerenza di Mosca in queste zone calde. La volontà dell’Italia di trovare un accordo internazionale nasce sicuramente dalla necessità di tutelare gli investimenti fatti con i Russi, ma al contempo non mettersi in cattiva luce nei confronti dei partner atlantici.
Oggi nel nostro Paese le forze politiche si dimostrano abbastanza aperte all’intervento in Syria e l’opinione pubblica non mostra particolari riserve. La partita quindi si gioca tutta nel capo della politica internazionale. Il rischio principale è che ancora una volta l’astensionismo italiano si tramuti nella peggior presa di posizione. Invocare un accordo internazionale quando ormai i principali attori hanno già preso una decisione non può portare da nessuna parte. Il nostro Paese deve focalizzare gli sforzi sulla Libia garantendo il suo impegno militare internazionale (l’Italia è al comando della missione in Libano dopo lo spostamento delle risorse militari francesi) a fronte di concreti impegni per l’ex colonia italiana, sia per salvaguardare i nostri investimenti che per garantire che la tratta di umani del Mediterraneo subisca una brusca battuta d’arresto.
La scarsa credibilità del nostro Paese passa dalla capacità di saper proporre strategie che possano interessare ai partner europei e non, ma per fare questo è necessario che si ritorni a fare politica internazionale invece che aggregarsi senza spirito.