Congresso PpI, ulteriore tassello del mosaico

Dal nostro Congresso del 13 dicembre si è percepito un vento nuovo che darà un valido contributo per aiutare tutti noi ad uscire da un pantano di scarsa democraticità ed insensibilità politica e sociale.

Siamo evidentemente in un momento di forte crisi non solo economica ma valoriale ed identitaria, che pervade fortemente il nostro Paese ed è aggravata da un percorso perverso, sostenuto soprattutto delle forze di sinistra, che induce sempre di più, in un sorta di promozione di una modernità vacua, a far perdere di consistenza i punti fermi della nostra civiltà occidentale, quali la famiglia e la centralità della persona, con uno Stato che è a servizio del cittadino e non il contrario, civiltà che, sia pur nella sua laicità, non può disconoscere le proprie radici culturali profondamente umane che discendono dalle nostre tradizioni giudaico cristiane.

Quello di cui c’è un grande bisogno oggi è la passione e la forte condivisione sui valori fondanti quali la famiglia, la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà, valori che non possono e non debbono risultare scontati, ma che debbono essere riscoperti soprattutto dalle nuove generazioni in una sorta di pacifica rivoluzione identitaria, che tanto farebbe bene anche per una sana integrazione dei nuovi cittadini di altri credo e tradizioni, senza pregiudizi ma anche senza subordinazione.

Non solo è sbagliato togliere il crocefisso dalle scuole, per ciò che rappresenta, ma sono sicuro sarebbe necessario mettere in ogni classe la bandiera italiana e quella europea. Una parete vuota non dà emozioni, non dà passione, i simboli invece sì ed è di ciò che abbiamo una necessità assoluta.

Ma vi dirò di più, ogni mattina nelle classi e negli uffici pubblici sarebbe bellissimo iniziare la giornata di studio e di lavoro con un inno nazionale, che non può e non deve colpire i nostri cuori solo in occasione di una partita di calcio, ma deve essere un elemento di appartenenza che unisca tutti noi ogni giorno e faccia di noi una vera comunità.

Dobbiamo essere orgogliosi del nostro Paese e dobbiamo fortemente far emergere e contare la stragrande maggioranza di esso che si riconosce nella tradizione cattolica, popolare e liberale, tradizione che ha contribuito a portare l’Italia  fuori dal difficile periodo post bellico ed oggi più che mai appare attuale in una crisi della identità occidentale che, in una sorta di passaggio epocale, ci pone di fronte alla scelta o di restare indifferenti rispetto ai venti di guerra che ci sono sempre più vicini, consentendo, lasciandoci trascinare dagli eventi, ad altre culture di prendere il sopravvento, o di riprendere nelle mani il nostro destino in un percorso di riunificazione attorno ai valori che ci accomunano, quali la democrazia, la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà, la centralità della famiglia, le nostre radici giudaico cristiane in una sorta di “estremismo moderato” (sul punto mi ha molto colpito la frase di un grande intellettuale, che condivido pienamente: “I musulmani ci disprezzano e ci odiano non perché siamo cristiani, ma perché non lo siamo abbastanza”) .

Proprio di un “estremismo moderato” abbiamo bisogno per superare, con la forza della ragione, populismi inconcludenti, esso sarebbe fortemente attrattivo anche per le giovani generazioni, che si vedono appiattite sui desideri quotidiani del nuovo telefonino, piuttosto che dell’ultima play station, non tanto per loro assenza di interesse per la cosa pubblica, quanto per l’assenza di stimoli di una politica finalizzata più alla gestione del potere che alla ricerca di un senso vero.

“Uniti si vince” questo è il messaggio che è arrivato ai territori  dall’incontro di Orvieto, delle forze popolari, messaggio che è stato ribadito con forza dal nostro Congresso che ha rappresentato un’ulteriore cassa di risonanza ed un ulteriore tassello del mosaico che dobbiamo costruire superando i particolarismi ed i singoli circoli di potere.

Cosa fare quindi?

Due considerazioni sono fondamentali. Prima considerazione, già oggi la metà della popolazione mondiale vive nelle grandi città e si prevede che nel 2050 saranno i due terzi, parliamo di 6,3 miliardi di persone ed il fenomeno riguarda anche il nostro Paese, quindi è evidente che l’amministrazione di Roma, Milano, Napoli e così via, sia nel loro centro sia soprattutto nelle loro periferie, non è un mero fatto locale ma un problema di carattere nazionale.

Seconda considerazione, in una condizione, come quella attuale, in cui manca appunto passione politica ed essa appare assolutamente distaccata dagli elettori, bisogna ricucire il legame tra politica e cittadini, partendo dal basso sul problema quotidiano del marciapiede e del tombino, per ricostruire quel rapporto di fiducia la cui perdita è rappresentata drammaticamente dal successo del grillismo, basato sulla protesta senza alcuna identificabile ossatura valoriale su cui basarsi.

E’ assolutamente necessaria una ripartenza proprio dalle città, soprattutto da quelle grandi le cui elezioni hanno una valenza che va ben oltre a quella meramente civica, della politica vera ancorata non al salvatore della patria di turno, ma a solidi principi e valori che per noi sono quelli legati alla tradizione cattolica, popolare e liberale.

Le due direttici su cui muoverci contemporaneamente sono da una parte la grande rivoluzione identitaria con cui ribadire e gridare a gran voce i principi fondamentali su cui si basa la nostra cultura popolare e liberare e dall’altra far di nuovo interessare la politica ai problemi quotidiani della gente, dal marciapiede allo stipendio, dalla visita medica al traffico.

Dal tombino, poi, si potrà passare a considerare problematiche più complesse, come quelle culturali ed economiche delle città, per, poi, in un crescendo induttivo far riscoprire i grandi valori popolari e liberali che ci ispirano e nei quali la stragrande maggioranza dei cittadini si riconosce.

Nella pratica, quindi, e passando alle imminenti elezioni amministrative, il mio sogno è che tutti, e dico tutti, i partiti e movimenti che fanno parte e si ispirano ai grandi principi del Partito Popolare Europeo presentino una lista unitaria, che abbia carattere civico, senza simboli di partito o nella quale essi siano pur presenti ma in maniera discreta, per iniziare da zero questo percorso e facilitare la ricucitura di fiducia con i cittadini.

Sarebbe troppo poter pensare ad un partito unico che goda già da subito del favore dei cittadini, ma una lista del genere, da sperimentare quanto meno per le amministrative di Roma, sarebbe già un grande passo in avanti, d’altra parte ognuno dei partiti e gruppi aderenti potrebbe comunque contarsi con i propri candidati, e verrebbe dato alla città un fondamentale segnale di rinnovamento vero e di chiara volontà di voler andare veramente al di là del proprio naso e di interessi particolari.

Detta lista dovrebbe necessariamente collocarsi nella più completa famiglia del centro destra, con le altre forze politiche che non fanno parte del Partito Popolare Europeo, ma che devono costituire un fronte unitario sui grandi temi che ci accumunano come quello della famiglia, della libertà e della nostra identità culturale occidentale (ovviamente nel pieno rispetto della altre, ma senza sentirsene succubi), della valorizzazione del nostro patrimonio culturale, della nostra musica, del nostro teatro, del nostro cinema, nonché un fronte unitario sul percorso di risanamento amministrativo della Capitale che ha assoluta necessità di essere ripensato mettendo in prima fila i temi della sicurezza, del lavoro, della mobilità e dell’ambiente. Se ciò non fosse possibile, le caratteristiche delle suddetta lista dovrebbero essere trasfuse nella lista civica del sindaco, per dare alla stessa tutto un altro spessore rispetto ad una mera somma algebrica di candidati.

Fatto, quindi, il passaggio delle liste da coalizzare (direi per essere più esplicito una grande lista civica popolare, in cui far confluire, ad esempio, da Forza Italia ai Popolari per l’Italia, dagli amici di Idea al CDU, dai Popolari Liberali ad Alef e così via, in coalizione con Fratelli d’Italia e Noi con Salvini, oltre che con altre eventuali liste civiche di area), la scelta del candidato sindaco dovrebbe venire naturale ed indirizzata ad una figura condivisa di alto profilo, di spessore nazionale, e che possa godere di un consenso che vada al di là di singole sigle di partito.

Su questo percorso noi Popolari per l’Italia ci saremo. Non possiamo lasciare Roma e le altre grandi città ad un sistema, quello della sinistra, che ha negato se stesso, e non dico altro, sfiduciando il sindaco della Capitale da essa eletto, dimostrandosi assolutamente fallimentare, ma soprattutto non possiamo lasciare le grandi metropoli a chi è abituato a dire “vaffanculo” pensando più a porsi “contro” qualcosa che a risolvere realmente i problemi, i cittadini non lo meritano.

Per tutto ciò il nostro primo Congresso Nazionale è stato un valido passo in avanti, ma il cammino è ancora lungo e noi siamo pronti a  tutto quanto necessario per proseguirlo e superare gli ostacoli che inevitabilmente ci saranno, ben sapendo che i vincenti hanno sempre una soluzione mentre i perdenti hanno sempre una scusa.

©Futuro Europa®

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