Clandestini o rifugiati, due facce della stessa medaglia
L’Europa ha scelto ormai da molti anni di vivere in una pericolosa contraddizione: da un lato i migranti visti come necessari per sostenere i sistemi occupazionali, previdenziali, scolastici, di cura; dall’altro le retoriche populiste sul bisogno di proteggersi dalla presunta invasione straniera, da qui emergono tentativi sempre più articolati per declinare le caratteristiche dei migranti “buoni” e quelle dei migranti “inutili”, o addirittura “nocivi” per i nostri sistemi socio-economici.
Questi soggetti (clandestini o rifugiati politici) le cui sofferenze sono destinate a proseguire anche dopo l’approdo in Italia, sono alle prese con una serie di eventi spiazzanti, che si manifestano durante tutto il percorso intrapreso: dal momento della fuga dal proprio Paese, al viaggio verso destinazioni spesso non scelte ma subite; all’inserimento in percorsi di accoglienza lacunosi, nell’ambito di un sistema nazionale cronicamente sottodimensionato rispetto alle reali necessità, senza solide reti sociali cui appoggiarsi.
In Italia, si sta cercando di creare un corridoio umanitario, provando ad eliminare l’articolo 10-bis introdotto dalle Legge n. 94 del 15 luglio 2009 e cioè quello che riguarda l’introduzione del “reato di clandestinità”.
In parole povere lo straniero che entra senza nessun visto o permesso non commetterà alcun reato, come era previsto precedentemente in cui era anche inserita una salatissima multa, ma sarà attuata solamente l’espulsione e al massimo l’espatrio, senza dunque ricorrere al carcere. Nonostante la tragedia di Lampedusa di pochi giorni fa, i viaggi della speranza non terminano: 20mila sono morti in venti anni nel tentativo di raggiungere l’Europa.
Nell’agenda di Bruxelles finalmente è presente il problema di una governance comunitaria di flussi imponenti di migranti tra Africa, Medio Oriente ed Europa.
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