Cronache dai Palazzi

La legge di Stabilità arriva come sempre sotto l’albero, corredata del decreto legge “Milleproroghe” approvato nell’ultima seduta dell’anno del Consiglio dei ministri. Dieci articoli per rimandare al altra data termini e scadenze negli ambiti più diversi. Niente riforma di banche di credito cooperativo ad esempio, che dovrebbe arrivare entro gennaio. Nessun decreto attuativo per la riforma della Pubblica amministrazione, in quanto si attende ancora un’attenta revisione della spesa da parte di via XX Settembre ed è sospesa, fino alla fine del 2016, anche la possibilità di nomina dei dirigenti generali della Pubblica amministrazione. Slitta inoltre di sei mesi il termine entro il quale Equitalia non si dovrà occupare più della riscossione dei tributi locali. Rinvio anche per le sanzioni a carico delle imprese che non pagano le quote del Sistri, il sistema di controllo per la tracciabilità dei rifiuti. Mentre è ancora valido il divieto di incrocio proprietario fra stampa e televisione, con i tetti attualmente previsti dal Sic, il sistema integrato delle comunicazioni che valuta il valore delle testate. I bandi delle gare pubbliche dovranno essere pubblicati “su almeno due quotidiani nazionali e due locali” fino al 2017, altrimenti dal gennaio del prossimo anno gli annunci sarebbero stati visibili solo sul web. Rinviato infine al primo gennaio 2017 anche il termine per rivedere il sistema di remunerazione della filiera del farmaco, cioè i criteri per determinare il prezzo dei medicinali nel percorso dal produttore alla farmacia che li fornisce. La riforma risale al 2012 (governo Monti) ma da allora è stata periodicamente rinviata anche perché si ritiene possa danneggiare le piccole farmacie. Nel settore sanità rimangono invariate anche le tariffe massime per le prestazioni ospedaliere mentre le cifre relative a quelle in ambulatorio sono valide fino al 30 settembre 2016.

La legge di Stabilità, la manovra che Matteo Renzi inneggia in quanto agli italiani saranno ben visibili le conseguenze sottoforma di “abbassamento delle tasse”, in termini economici viene definita “espansiva”. Con un rapido voto di fiducia (162 voti a favore e 125 contrari) Palazzo Madama ha approvato il testo in terza lettura, senza apportare alcuna modifica alla versione messa a punto dall’aula di Montecitorio. Facendo i conti nelle tasche dei cittadini, gli italiani non dovranno più pagare la Tasi sull’abitazione principale, un provvedimento che vale circa 3,8 miliardi. Fanno eccezione le case di lusso. Approvato anche il dimezzamento dell’Imu per le abitazioni concesse in comodato d’uso dai proprietari ai figli o ai genitori. Sul versante edilizia sono stati confermati inoltre i bonus per i lavori di ristrutturazione, per cui le detrazioni corrisponderanno al 50% per i lavori ordinari e al 65% per quanto riguarda gli interventi di riqualificazione energetica. Vantaggi anche per le imprese in quanto la legge di Stabilità 2015 prevede una serie di incentivi per gli investimenti in beni strumentali effettuati dalle aziende a partire dal 15 ottobre 2015 fino al 31 dicembre 2016. Le agevolazioni alleggeriranno Ires (Imposta sui redditi societari) e Irpef. La misura vale circa 1 miliardo di euro e, nello specifico, dal 2017 l’Ires scenderà dal 27,5 al 24% determinando un controvalore di circa 3 miliardi di euro.

Scongiurati gli aumenti delle accise sui carburanti e dell’Iva (aumenti per ora congelati) che avrebbero provocato un carico fiscale aggiuntivo per le famiglie italiane pari a 16,8 miliardi di euro. In balìa dell’allarme terrorismo il governo ha destinato inoltre 150 milioni alla cyber security e 250 milioni verranno investiti in sistemi di difesa. Ulteriori 500 milioni serviranno per il bonus di 80 euro riservato alle buste paga delle forze dell’ordine, mentre i ragazzi che compiranno 18 anni nel 2016 potranno beneficiare di un bonus di 500 euro da spendere in cinema, teatro, concerti e musica.

Confermato il tetto di 3.000 euro per i pagamenti in contanti e il pagamento del canone Rai in bolletta elettrica. Per quanto riguarda quest’ultimo, sul fronte delle entrate, i benefici sembrano vistosi: 420 milioni in più con un recupero consistente dell’evasione che, secondo le stime di Mediobanca, passerebbe dall’attuale 30% al 5 %, valore stimato anche nel Regno Unito. La Rai dovrebbe diventare così il primo gruppo tv per ricavi in Italia avvicinandosi, a livello europeo, a France Telèvisions e raggiungendo “circa 2,9 di fatturato”  contro gli attuali 2,45, spiega il rapporto di Ricerche & Studi Mediobanca. Attualmente il valore dell’evasione del canone è stimato in 600 milioni di euro.

In valore assoluto le coperture per questa finanziaria ammontano a 17,6 miliardi di euro. La Commissione europea ha inoltre concesso all’Italia di alzare l’asticella del deficit fino all’1,8%, riservandosi di valutare il margine di flessibilità restante, pari allo 0,6%, solo in primavera. Palazzo Chigi puntualizza comunque di aver operato nel recinto dei limiti concessi dall’Ue. Quanto si risparmierà nel 2016 con le misure contenute nella manovra? Per calcolare il risparmio un gruppo di senatori dem ha prontamente ideato una app, il cosiddetto “risparmiometro”.

È approdata anche la riforma della Rai con l’introduzione della figura dell’amministratore delegato al posto del direttore generale. Nominato dal Cda su proposta dell’assemblea dei soci, l’ad di viale Mazzini resterà in carica tre anni e potrà essere revocato dallo stesso Consiglio. In pratica l’AD nominerà i dirigenti ma per le nomine editoriali dovrà rispettare il parere del Cda. Potrà assumere, promuovere e stabilire la collocazione dei giornalisti su proposta dei direttori di testata e rispettando il contratto giornalistico. Potrà firmare contratti fino a 10 milioni di euro e avrà massima autonomia nella gestione economica. La figura dell’amministratore delegato dell’azienda di servizio pubblico radiotelevisivo sarà inoltre incompatibile con cariche di governo ricoperte nei 12 mesi anteriori alla nomina, e non dovrà avere conflitti di interessi o cumulare cariche in società concorrenti.

Il nuovo Cda di viale Mazzini sarà composto da sette membri (oggi sono nove): quattro eletti da Camera e Senato, due nominati dal Consiglio dei ministri su proposta del titolare dell’Economia, uno designato dall’assemblea dei dipendenti dell’azienda. Al Cda spetterà l’approvazione del piano industriale e del piano editoriale, del preventivo di spesa annuale, degli investimenti che superano i 10 milioni di euro, degli atti e dei contratti aziendali di carattere strategico. Solo all’ad spetterà invece l’approvazione del piano per la trasparenza e la comunicazione aziendale che prevede la pubblicazione dei compensi dei soggetti, titolari di contratto non di natura artistica, superiori ai 200 mila euro. Per tutti i componenti degli organi di amministrazione e controllo dell’azienda del servizio pubblico radiotelevisivo, fatta eccezione per l’amministrazione delegato, è stato fissato il “tetto” retributivo di 240 milioni di euro.

Alla fin fine il ddl di riforma della Rai sembra potenziare i poteri del Consiglio dei ministri, che deliberà gli indirizzi prima di ciascun rinnovo del contratto nazionale. Violente alcune critiche. Per Maurizio Gasparri di FI si tratta di “una leggina anticostituzionale che sarà abolita dalla Consulta”. Per il pentastellato Roberto Fico “non esiste nessuna riforma della Rai” in quanto “quella approvata dal Senato è una Gasparri 2.0”, ossia “la peggiore legge che si potesse fare per il servizio pubblico”. Fico sottolinea che la Rai continuerà ad essere “fortemente lottizzata dai partiti che continueranno a spartirsi incarichi e poltrone”. Dal punto di vista dei giornalisti – in particolare Fnsi e Usigrai – è un “colpo all’autonomia dell’azienda portata dal governo sotto il proprio controllo”. Non è dello stesso parere il sottosegretario con delega alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, che difende l’approvazione della riforma in virtù della quale “la Rai diventerà un’azienda di servizio pubblico più moderna, più efficiente e trasparente”. Secondo Giacomelli, con un amministratore delegato più forte e un Cda eletto dal Parlamento “si rafforza il legame con le istituzioni e con il sistema-Paese, non con i partiti”.

Dal Viminale  il ministro dell’Interno Angelino Alfano ribadisce infine che “l’Italia è un Paese più sicuro di molti altri”, fermo restando che non esiste un Paese a rischio zero. Facendo un bilancio annuale del contrasto al terrorismo di matrice jihadista, Alfano dichiara che nel 2015 sono state controllate 74.177 persone, più di 20mila nell’ultimo mese dopo i fatti di Parigi. Sarebbero invece 259 i soggetti arrestati per estremismo religioso e 64 gli espulsi. Grazie alla nuova legge antiterrorismo, approvata dopo gli attentati a Charlie Hebdo, la polizia postale ha inoltre oscurato 6.636 contenuti web di propaganda jihadista. Per quanto riguarda l’utilizzo dei militari “mai ne sono schierati così tanti – ha affermato Alfano – 6.300 a vigilanza dei presidi fissi e degli obiettivi sensibili”. La sicurezza rappresenterebbe in pratica “una priorità per il nostro Paese” e per questo governo. Nel contempo dal sud del Libano, ai confini con Israele, dove ha incontrato i caschi blu italiani dell’Unifil (la forza di interposizione dell’Onu) tra selfie e mimetica, il premier Renzi ha ribadito che occorre lavorare “per non farci sconfiggere dalla paura” provocata dagli attacchi terroristici in tutta Europa. “Questo è un luogo che ci rende orgogliosi di essere italiani”, ha aggiunto il presidente del Consiglio rinnovando il consueto saluto di fine anno, corredato di ringraziamenti, ai militari italiani impegnati in luoghi di morte e di guerra.

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