Libia, ONU e NATO
Con una risoluzione all’unanimità il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato mercoledì scorso l’accordo raggiunto il 17 dicembre per la creazione di un Governo di unità nazionale in Libia. Non si tratta di un’unanimità di facciata. I recenti voti del CdS mostrano che il terrorismo dell’ISIS è riuscito a riunire contro di sé praticamente tutto il mondo civile, realizzando il miracolo di un’unità che, per la personale esperienza che ho dell’ONU, è sempre difficile da conseguire e alla quale partecipano paesi non certo allineati sulle posizioni occidentali, come Russia e Cina.
Il Ministro degli Esteri Gentiloni ha definito questa Risoluzione “un regalo di Natale”. Ha ragione di esserne soddisfatto, giacché la diplomazia italiana è stata in prima fila, a fianco di quella americana ed egiziana, nell’opera diretta a giungere all’accordo del 17 dicembre. Il valore della Risoluzione dell’ONU non è puramente formale. L’accordo sarebbe stato più fragile se non avesse avuto la consacrazione delle Nazioni Unite. Ora il massimo organismo mondiale l’ha approvato e se ne è fatto garante, rendendo così per le parti più difficile non rispettarlo.
La Risoluzione non parla esplicitamente di uso della forza, ma lo fa indirettamente riferendosi a una precedente Risoluzione che definiva la situazione in Libia “una minaccia alla sicurezza e alla pace internazionali” e invitando i paesi membri a sostenere gli sforzi del nuovo governo per riportare la pace in un paese lacerato dalla guerra civile e per riconquistare i territori occupati dai guerriglieri dell’ISIS. Fornisce quindi un quadro di legittimaziona internazionale per quei paesi che sono disposti ad aiutare anche militarmente le nuove Autorità. A queste spetterà stabilire di che cosa abbiano bisogno e fare le relative richieste. È probabile che il nuovo Governo voglia evitare una presenza militare straniera sul terreno, che avrebbe un sapore di occupazione, ma è certo che, a sostegno dell’azione che le proprie truppe condurranno contro l’ISIS, avrà bisogno di vari tipi di sostegno, a cominciare dal supporto aereo. La Francia, sempre iperattiva in Libia, si è già detta disposta a fornirlo, ma non sarà la sola. Non so se gli Stati Uniti si impegneranno direttamente, spero lo faccia la Gran Bretagna. La partecipazione inglese avrebbe un grande valore tattico, poiché la RAF dispone dei missili Brimstone, i migliori al mondo per capacità di colpire con estrema precisione il bersaglio evitando danni collaterali. Li sta utilizzando in Irak e David Cameron ha annunciato che saranno utilizzati in Siria. Vorrà adoperarli in Libia?
Cosa farà l’Italia? La nostra estrema riluttanza a partecipare a raid aerei è nota, e credo abbia radici in considerazioni tanto politiche quanto tecniche da non sottovalutare. Ma ci sono molti altri modi di sostenere lo sforzo libico, restando nell’ambito di ciò che il nuovo governo chiederà. Il Ministro Gentiloni ha manifestato un’ampia disponibilità italiana. È giusto che sia così. La Libia è una priorità nostra, riportarvi l’ordine e la piena sovranità territoriale è un nostro preciso e primario interesse, per il quale non dovremmo essere secondi a nessuno. Qualsiasi azione aerea in Libia avrà bisogno delle nostre basi, ma non basta. Non possiamo limitarci a essere una piattaforma di lancio.
Un’ultima considerazione: finora non si è parlato di un ruolo della NATO (mentre l’Alleanza ha già fatto la voce grossa a sostegno della Turchia, dispiegando aerei e navi nel Mediterraneo Orientale). Strano silenzio e strana assenza. Però di una cosa credo di poter essere sicuro. Se da parte occidentale si vorrà intervenire a sostegno della lotta libica contro l’ISIS, la rete di comando e controllo della NATO in Mediterraneo sarà necessaria. Le stesse basi aeree italiane da cui possono partire i raid sono, del resto, basi NATO. Precedenti di un appoggio “silenzioso” dell’Alleanza a un’operazione militare di uno o più Alleati non mancano. Quando l’Italia guidò, negli anni Novanta, l’operazione “Alba” per la pacificazione dell’Albania, noi avevamo chiesto formalmente che si trattasse di un’azione NATO. Nel Consiglio dell’Alleanza che io avevo chiesto di convocare, emersero però resistenze degli alleati nordici. Ne prendemmo atto ma, grazie a un’intesa discreta con i Comandi NATO, potei ottenere che l’Alleanza desse all’operazione il più ampio (e necessario) supporto logistico. È legittimo pensare che qualcosa del genere potrà verificarsi per la Libia, se anche si preferisse che questa volta l’Alleanza, già impegnata su altri fronti e non sempre popolare nel mondo arabo, non apparisse in prima persona. Cosa che, peraltro, a me parrebbe per molte ragioni preferibile.