2015, un anno d’Europa
La fine dell’anno è sempre tempo di bilanci, di analisi di ciò che è stato e delle ragioni per cui determinati eventi sono accaduti. Per l’Unione europea, il 2015 non sarà ricordato esattamente come una fase di successi e miglioramenti, quanto piuttosto di un costante arrovellarsi fra tematiche scottanti che necessitano di un tempestivo intervento: in ballo c’è l’integrità sociale, economica e culturale di ogni singolo cittadino europeo. L’Europa deve “diventare grande” una volta per tutte, e prendersi quelle responsabilità che finora, senza troppi dubbi, ha preso sotto gamba.
Il 2015 sarà ricordato in particolare per la scia di sangue che il terrorismo ha lasciato in Europa, con due date ad apertura e conclusione dell’anno: il 7 gennaio e il 13 novembre a Parigi, i jihadisti hanno portato ufficialmente la guerra santa a casa nostra, mobilitando il mondo intero su un’emergenza che, finora, non è stata gestita a dovere. Dopo le migliaia di incontri e dibattiti, l’UE ha promesso un miglior coordinamento dei servizi nazionali di sicurezza e approvato il Passenger Name Record, il sistema che obbliga le compagnie aeree a fornire i dati dei passeggeri in arrivo e in partenza dall’Unione.
Ma gli attentati francesi sono soltanto la punta dell’iceberg del macrofenomeno dell’immigrazione dai paesi a sud del Mediterraneo, soprattutto dalla Siria, che ha scatenato scontri diplomatici senza precedenti. Nel corso dei mesi si dibatte sulla redistribuzione dei gruppi di migranti tra i vari Paesi membri, prima in forma obbligatoria, poi volontaria, proponendo la riforma del Trattato di Dublino e di fatto scatenando prese di posizione drastiche, come la ben nota azione dell’Ungheria per bloccare con un muro il passaggio dei profughi. Si riapre la questione Schengen, con la proposta di alcuni di reintrodurre controlli temporanei alle frontiere interne. Tuttavia, a fine anno, quei centomila migranti giunti in Italia e in Grecia restano ancora in attesa di ricollocazione.
E’ stato un anno che ha visto alcuni Stati rendersi protagonisti di dure battaglie nazionali: la Grecia, con il governo Tsipras intento a negoziare con UE e BCE il pagamento del debito greco, in un continuo rischio di tracollo economico a causa dell’austerity. Nonostante il trionfo del “no” al referendum popolare, la questione si è conclusa con un accordo finale coi creditori. La Gran Bretagna resta in bilico sulle posizioni “secessioniste” del Brexit, ma a fine dicembre il premier Cameron pare voglia siglare un’intesa con specifiche richieste sul piano economico e di legislazione comunitaria. E poi l’Ucraina, contesa tra spinte europeiste verso l’occidente e l’influenza della Russia, mettendo a repentaglio i delicati rapporti diplomatici che l’Unione europea cerca di mantenere con Vladimir Putin, probabilmente un alleato determinante per la sfida globale al terrorismo.
Nel 2015 ha fatto discutere la decisione della Commissione europea di dare il via al Piano Juncker, l’ambizioso programma di investimenti per rilanciare la crescita economica nell’UE: l’obiettivo è di mobilitare 315 miliardi di euro in tre anni da investire tra i ventotto paesi membri in settori quali ricerca scientifica, piccole e medie imprese, industria, istruzione e agricoltura. Molti stati hanno deciso di voler contribuire finanziariamente al progetto, tra cui Italia, Germania e Francia con un impegno di 8 miliardi, mentre a fine anno anche la Cina ha annunciato di volerne fare parte.
L’anno appena trascorso è stato per l’Italia un momento di protagonismo sotto vari aspetti: l’Expo 2015, che ha veicolato l’attenzione dell’Europa e del mondo intero alle capacità del nostro Paese di ospitare un evento di grande respiro, con tutte le inevitabili critiche e i successi raggiunti; la chiara presa di posizione del governo contro una gestione troppo “alla tedesca” dell’UE, con Matteo Renzi a volte in acceso dibattito con la Merkel per spingere verso un’uscita dalla supremazia della Germania nelle decisioni a livello europeo, soprattutto a livello finanziario; e poi la vicenda, ancora infuocata, dello scontro con Bruxelles sul salvataggio delle quattro banche a rischio default: la Commissione ha ribadito di recente la negazione agli aiuti di stato tramite il fondo interbancario.
Oltre alle proprie vicende interne, nel 2015 l’Unione europea ha dunque fatto fronte alle questioni globali tramite la discussione di accordi internazionali a largo raggio: anche se l’ormai celebre TTIP sul commercio con gli Stati Uniti sembra arenato in un vicolo cieco, a dicembre la COP21delle Nazioni Unite ha riunito a Parigi i leader mondiali per discutere sui cambiamenti climatici: l’incontro ha ratificato un accordo, da confermare entro il 2017, sulla riduzione dei gas serra e la limitazione del surriscaldamento globale a meno di 2 gradi Celsius.
Per il 2016, dunque, il miglior augurio che possiamo rivolgere all’UE risiede nella stessa Testata del nostro giornale, quel Futuro Europa solido e ispiratore che tutti noi vorremmo vivere nelle nostre città, regioni e nazioni europee. La rinascita dell’Unione dovrebbe basarsi innanzitutto su una presa di posizione più precisa a livello internazionale e tra i suoi stessi Stati, ponendo come prima tutela la sicurezza dei cittadini dal punto di vista economico, sociale e contro ogni violenza. E’ un’impresa ardua, ma è ancora importante credere in un’Europa più unita per costruire un futuro migliore per tutti.