Mattarella, immigrazione e terrorismo

Ho ascoltato con grande attenzione il messaggio di fine anno del Presidente Mattarella. Mi ha colpito il tono compassato, sereno ma, a tratti, appassionato. Più che di un politico mi è parso proprio di un capo spirituale. In molte parti, anche quando non lo citava esplicitamente, ha ripreso temi cari alla predicazione di Papa Francesco, ma lo ha fatto, sì, da cattolico, ma  in modo, diciamo, laico e repubblicano.

Quali i temi principali? Lasciamo da parte la condanna dell’evasione fiscale, la protesta per la disoccupazione giovanile e altri temi abbastanza abituali e, se mi è permesso dirlo, se non retorici, almeno “di stile”. Mi è parsa invece, se non del tutto nuova però importante e da registrare, la parte relativa alla convivenza tra italiani e comunità di immigrati musulmani. Sotto questo aspetto, il messaggio aveva due parti che mi sono parse molto chiare: da una parte, l’appello alla tolleranza per le diversità e all’accoglienza umana e civile per chi vive tra noi venendo da terre lontane, sfuggendo spesso alla guerra o alla fame, e il riconoscimento, benvenuto, che tanta parte di questi immigrati lavora onestamente, vive in pace e contribuisce al nostro sistema previdenziale, pagando per quello che riceve; dall’altra parte, l’invito alle comunità musulmane a rispettare rigorosamente le nostre leggi e i nostri costumi, apprendere la nostra lingua, veicolo di mutua comprensione, e in generale la nostra cultura. Chiara anche la distinzione tra chi viene da noi come rifugiato politico, che ha diritto a essere accolto e protetto, e gli altri, che vanno rimpatriati. Lo ha detto con tanta chiarezza che l’ineffabile Salvini ha potuto commentare che Mattarella “ha dato ragione alla Lega”. Si tratta di una grottesca semplificazione, ovviamente strumentale, ma le cose che il Presidente ha detto vanno prese molto sul serio e devono far parte della politica di Stato.

Il Presidente si è anche riferito, come non poteva non essere, al terrorismo che insanguina le città europee e minaccia anche noi. Ha tenuto ad assicurare che le nostre autorità compiono un lavoro intenso e serio di prevenzione e controllo. Credo che abbia ragione, non per merito di questo o quel governo o Ministro dell’Interno, ma perché disponiamo di forze di polizia di alta professionalità. Purtroppo, nessuno può escludere che anche la sorveglianza più attenta non riesca a impedire attentati, specie quando sono opera di folli più o meno isolati. Ma è importante sapere che l’Autorità vigila e credo che di questo i cittadini italiani siano coscienti e grati, almeno giudicando dai sondaggi che emergono in vari programmi TV. D’altra parte, la principale funzione dello Stato, la sua originaria ragione di essere, al di là di quelle economiche, sociali, culturali, pur importantissime, sta nel garantire la sicurezza dei cittadini.

Mattarella ha avuto l’onestà di riconoscere che il terrorismo non si vince in poco tempo e il problema ci accompagnerà a lungo. Ha ragione, però questo non deve indurci al fatalismo e meno ancora alla paura, perché altrimenti il fanatismo avrebbe già vinto la sua battaglia. Un’opera lunga, quotidiana, attenta, che impegna Magistratura e Forze dell’ordine ma richiede anche una grande coesione nella società e tra le forze politiche, e Mattarella ha fatto benissimo a ricordarlo. Le polemiche quotidiane, le risse da pollaio, in cui si è specializzata una certa destra (non tutta) fanno solo danno.

Intanto, c’è un fatto chiaro e immediato: il terrorismo islamico, nelle sue forme più recenti, trova la sua matrice nell’ISIS; un’entità ben determinata e con base territoriale. Renzi ripete che il terrorismo non viene da oltre frontiera ma dal seno delle nostre società, visto che gli autori degli attentati riusciti e tentati negli ultimi tempi sono cittadini francesi o belgi, sia pure di origine araba. Lo dice evidentemente per metterci in guardia contro l’intolleranza verso i nuovi o potenziali immigrati. Ha ragione, ma solo in parte. È vero che l’odio verso l’Occidente nasce dal seno dell’Occidente stesso e va affrontato con mezzi politici e culturali di ampio respiro (ma non realizzabili a breve termine) idealmente su scala europea. Ma il fatto è che questi criminali risultano addestrati, finanziati, armati, ispirati dal cosiddetto Califfato, la cui delirante predica di odio può talvolta apparire talmente esagerata da essere incredibile (la bandiera nera sul Vaticano e via dicendo) ma non per questo va sottovalutata. Distruggere questo centro attivo di azioni terroristiche è dunque, non solo un diritto ma, sulla base delle risoluzioni ONU, un dovere.

La recente presa di Ramadi da parte delle forze irachene è il segno che l’esercito di quel paese ha recuperato capacità di iniziativa e, assieme ai peshmerga curdi e alle milizie iraniane, è per ora la sola forza capace di far arretrare le milizie jihadiste. Cosa necessaria, perché i raid aerei, utilissimi come supporto all’azione di terra, da soli non bastano. Il “Califfo” Al-Bagdadi ha di recente dichiarato che l’ISIS “resta forte”. È chiaro che lo deve dire, per motivare i suoi seguaci e combatterne la eventuale diserzione. Mi ricorda quando Saddam Hussein, alla vigilia della più sonora batosta, diceva e faceva dire ai suoi generali di star vincendo la guerra. Ma i colpi subiti in queste ultime settimane (specie da parte russa) sono stati duri e c’è da pensare che continuino e si intensifichino.

Il cammino sarà ancora lungo, come Obama non smette di ricordarci. Sarà più agevole se tutti quelli che combattono questo nemico dell’umanità agiscano in forma cooperativa o almeno coordinata. Le differenze di vedute tra Stati Uniti e Russia, tra Russia e Turchia, tra turchi e curdi, tra Paesi del Golfo e Iran sono, in questa fase, da accantonare. Chi non ne avesse l’intelligenza, si assumerebbe una grave responsabilità. Una cosa curiosa: nella precampagna presidenziale americana, l’araldo di un più stretto rapporto con la Russia è Donald Trump, esponente della destra più rancida, tanto che Putin lo elogia: quasi fosse sulla stessa linea della destra salvinaiana e altra, tanto “putiniana”; in sé non vuol dire molto, viste le possibilità abbastanza remote che ha Trump di andare alla Casa Bianca, ma dimostra che Obama e Kerry, nella loro politica avveduta e prudente verso Mosca, non rischiano di essere troppo criticati da destra.

Per quanto riguarda la Libia, nostra speciale priorità, la visita a Roma del Premier designato, Al Serraj, la prima effettuata in Europa, e gli impegni di sostegno che ha preso pubblicamente Renzi, sono segni  positivi che speriamo siano confermati dai fatti. Nell’aiutare le nuove autorità libiche a riportare l’ordine e recuperare il territorio, spetta a noi – non alla Francia o ad altri – essere in prima linea. Non solo per il retaggio della Storia, ma per i tanti e concreti interessi che ci legano alla Quarta Sponda e che nessun ultimo venuto deve poterci (come forse si proponeva Sarkozy) “scippare”.

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