Condanne Corte Europea Diritti dell’Uomo, primato dell’Italia
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è un organismo di diritto internazionale istituita nel 1959 in seno al Consiglio d’Europa, e divenuta organo permanente con l’entrata in vigore del Protocollo XI nel 1998. La Corte ha sede a Strasburgo e non ha nulla a che vedere con la Corte di giustizia dell’Unione europea, questa ultima è una istituzione dell’Ue con sede in con sede in Lussemburgo mentre la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non è un organo della UE. Questo tribunale ha competenza esclusiva a trattare in merito ai ricorsi individuali presentati a norma dell’art. 34 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Scopo della Corte è di garantire l’effettività e l’efficacia della tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali negli Stati facenti parte del Consiglio d’Europa
Nei suoi 60 anni di attività ha dato un contributo fondamentale nell’armonizzazione degli ordinamenti giuridici dei singoli stati europei aderenti arricchendo il catalogo dei diritti umani fondamentali tutelati dalla Convenzione, arrivando a ricomprendervi fattispecie nemmeno ipotizzabili al tempo della originaria stesura e ponendosi quindi sempre al passo dei tempi. Ricordiamo che la Corte di Strasburgo non opera solo nei Paesi Ue, ma anche alcuni extra europei essendo un organismo del Consiglio d’Europa (47 Paesi in totale compresi Turchia, Russia e Ucraina).
Veniamo al tasto dolente, il nostro paese è tra i più inadempienti: sono 2.522 le sentenze di condanna a carico dell’Italia ancora “pendenti”, cifra che vale il primato negativo per il quinto anno di fila, e che ci fa toccare le vetta dei 13.741 giudizi non applicati. Un’enormità di fronte ai 3.663 della Gran Bretagna, ai 3.003 casi della Germania e ai 2.752 della Francia.
Un considerevole parte delle condanne riguarda la violazione all’articolo 1 paragrafo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che sancisce “il diritto ad un processo giusto in un arco di tempo ragionevole”. L’oggetto in questione è la Legge n.89 del 24-3-2001 (Legge Pinto), che dispone “un’equa riparazione per il danno subito per l’irragionevole durata di un processo”.
Fra le condanne più eclatanti nel recente passato possiamo ricordare i tre tunisini risarciti con € 10.000 a testa per essere stati lesi nella loro dignità con una detenzione immotivata ed a cui non hanno potuto opporsi, oltre che la violazione del divieto di espulsioni di massa. Altro caso che ha occupato le prime pagine dei giornali è stata la condanna per violazione dell’art.8 a seguito del ricorso di tre coppie omosessuali cui era stato rifiutata la richiesta delle pubblicazioni per potersi sposare.