Il Medio Oriente nelle sabbie mobili
Quando si pensa a quello che succede nel Medio Oriente si ha la tormentosa impressione di affondare perennemente nelle sabbie mobili. Nulla è certo, solido, nulla è quello che appare. Dietro ad ogni mossa c’è la mano di interessi oscuri, di rivalità politiche, territoriali, religiose, di un genere che l’Occidente civilizzato ha da tempo accantonate.
La grave tensione scoppiata tra Iran e Arabia Saudita per la decapitazione dell’Imam Al-Nimri non è inattesa per chi da tempo scrive – anche su queste colonne (come la nostra Jacqueline Rastrelli) – che la chiave di molto o tutto quello che accade in quella tormentata area del mondo sta nell’odio secolare tra sciiti e sunniti, i primi aventi come loro riferimento l’Iran e i secondi in primo luogo l’Arabia Saudita e i paesi del Golfo, e in misura non lieve la Turchia. Odio religioso, che ricorda quello – ormai superatissimo – che oppose nei secoli XVI e XVII cattolici e protestanti, ma lo supera in orrore, e con il quale s’intrecciano ben concrete rivalità politiche e territoriali per il dominio del Golfo ricco di petrolio. A lungo la partita si è giocata per interposta persona, non essendo dubbio che il denaro del Golfo abbia finanziato dapprima Saddam Hussein, poi Al-Qaeda e infine l’ISIS, ma niente esclude che possa riportare a una guerra vera e propria, come quella, lunga, sanguinosa e alla fine inutile, scatenata contro l’Iran dall’Irak di Saddam Hussein. Non per nulla, Arabia Saudita e altri Paesi del Golfo sono tra i più forti clienti dell’industria di armamenti di origine americana ed europea (anche nostra); non per altro l’Iran ha cercato di dotarsi di armi nucleari ed è comunque sostenuto e armato dalla Russia.
Sapevamo e scrivevamo tutto questo, quello che non era possibile prevedere era che fanatismo e odio potessero indurre i sauditi alla barbara (chiamiamola con il suo nome) esecuzione di un capo religioso sciita. Che certamente era colpevole di incitare alla protesta e alla ribellione contro quel regime, ma non meritava una fine così atroce; dovendo i sauditi sapere benissimo quali furibonde reazioni sarebbero scoppiate in tutto il mondo sciita. E così puntualmente abbiamo rivisto, a Teheran e altrove, colonne di donne nerovestite e uomini barbuti che levano i pugni minacciosi, non solo contro l’Arabia Saudita, ma contro gli Stati Uniti e altri Paesi occidentali, che non credo proprio siano corresponsabili di quel crimine. Di nuovo ambasciate assaltate, bandiere bruciate. Davvero non finirà mai? Se questo è l’Islam che alcuni bene intenzionati si ostinano a descriverci come una religione di pace, ebbene, diciamolo chiaramente: con questo tipo di atrocità non abbiamo, in Occidente, nulla da spartire. Cosa hanno inteso fare i sauditi? Provocare un conflitto? Colpire al cuore quel timido riavvicinamento che, dopo gli accordi di Ginevra, sembrava delinearsi tra Occidente e Iran, anche in virtù della comune opposizione all’ISIS?
Potremmo dirci, tutto sommato, che tutto questo è “res inter alios acta”, ma non è così. Il conflitto pone diversi e gravi problemi all’Occidente. Minaccia di destabilizzare un’area tuttora critica per i nostri rifornimenti di energia (fino a quando non ci decideremo a scegliere risolutamente le fonti rinnovabili), ci pone il dilemma da che parte stare (se non all’Italia, giocatore minore, almeno agli Stati Uniti, che si trovano con una nuova e difficilissima gatta da pelare), rischia di spingere l’Iran al ritorno verso un pericoloso estremismo e, nell’immediato, rende più complicato sconfiggere l’ISIS. C’è solo da sperare che gli attori principali in quella vicenda, Stati Uniti e Russia, ma anche Iran e Turchia, non perdano di vista qual è il principale nemico da abbattere. Certo occorrerà ad Obama una enorme dose di pazienza e di intelligenza politica per uscire senza troppi guasti anche da questo labirinto.