Badia a Passignano, completato il restauro del refettorio dell’abbazia
Il refettorio dell’Abbazia di San Michele Arcangelo a Badia a Passignano (Comune di Tavarnelle Val di Pesa, Firenze) è stato inaugurato secondo i piani prima della fine dell’anno, attraverso una presentazione aperta alla cittadinanza lo scorso 22 dicembre. Il doveroso restauro e ripristino all’aspetto originario tardo-quattrocentesco, e quindi non più neogotico, era iniziato nel 2002, richiedendo la chiusura al pubblico per la sua intera durata. Gli affreschi quattrocenteschi, con alcune meravigliose scoperte, sono stati scientificamente ripuliti, in particolare, l’Ultima Cena di Domenico Bigordi, detto il Ghirlandaio (1449-1494).
Il lungo ciclo di lavori è costato quasi 500mila euro. Gli iniziali all’incirca 200mila stanziati dalla Soprintendenza alle Belle Arti e al Paesaggio per le province di Firenze, Prato e Pistoia, non erano risultati sufficienti ed il restauro era stato interrotto, finché a inizio 2015 Friends of Florence, fondazione no-profit americana dedicata alla valorizzazione del patrimonio culturale-artistico toscano, non è intervenuta con altrettanti 200mila. A direzione del cantiere dell’Impresa Cellini, sono stati lo storico dell’arte Claudio Paolini e l’architetto Giorgio Elio Pappagallo, con la preziosa consulenza e l’assidua presenza di Sabino Giovannoni, già attivo presso i laboratori di restauro dell’Opificio delle Pietre Dure e con un’importante esperienza nel restauro di affreschi quattrocenteschi.
L’ambiente in questione risale al periodo in cui si registrò per il monastero della Congregazione Vallombrosana il culmine dello splendore. Il complesso architettonico venne radicalmente trasformato, con lavori per lo più riconducibili alla direzione del “maestro di murare”, Jacopo di Stefano Rosselli. Venne così conformato il refettorio come una sala che si sviluppa su un lato del chiostro, coperta con volte a botte lunettate poggianti su capitelli in pietra serena. Fu l’abate Isidoro del Sera a commissionarne la decorazione delle pareti.
Si procedette metodicamente, iniziando dalla parete di maggior spicco, quella di fondo. Nel 1474 Bernardo Rosselli (1450-1526) – cugino di quel Cosimo Rosselli che nel 1481 avrebbe realizzato l’Ultima Cena della Cappella Sistina – ne affrescò le lunette, raffigurando due coppie accomunate dal tema della Redenzione: in quella di sinistra la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, e in quella di destra i loro figli Caino e Abele, il primo in procinto di assassinare il secondo. Il restauro, oltre alla lucentezza originaria delle tinte, ci ha riconsegnato le nudità dei corpi dei progenitori biblici, prima oscurate dal fogliame.
Seguì l’opera sottostante, un Cenacolo ad opera del Ghirlandaio. Il contratto venne firmato il 25 giugno del 1976. L’Artista – ritenuto dal Vasari l’ultimo rappresentante della gloriosa tradizione della pittura murale toscana – ne realizzò il disegno, sicuramente traendo ispirazione dall’Ultima Cena di Andrea del Castagno nel refettorio di Sant’Apollonia (Firenze, 1448), e inviò il fratello David e il cognato Bastiano Mainardi. Una volta raggiunti i suoi collaboratori di fiducia, si dedicò a Cristo e agli apostoli, come attesta la documentazione archivistica che per l’occasione si è tornati a consultare e a interpretare in ragione dei dati raccolti grazie alla visione ravvicinata del lavoro e alle indagini scientifiche condotte dall’ingegnere Nicolino Messuti (analisi igrometrica, riflettografica all’infrarosso e in fluorescenza ai raggi X; la cura e la maestria ritrovabili nelle caratterizzazioni psicologiche dei visi dei personaggi, gli avrebbero poi avvalso la fama di ritrattista.
La stessa cura è accordata alle trasparenze dei bicchieri e delle bottiglie a cipolla in vetro, ma manca alla tovaglia che compre il tavolo quadrangolare. Difatti, come avvalorato da approfondite analisi, ampie e veloci pennellate in un bianco gessoso la fanno differire da quella finemente tessuta a piccole losanghe impiegata da Andrea del Castagno e dallo stesso Ghirlandaio nelle due successive ultime cene da lui affrescate. In queste ultime, appare anche una grande profusione di ciliegie che in quest’occasione sono state risparmiate, a causa della necessità di terminare il prima possibile i lavori, dati gli attriti creatisi tra gli artisti e l’Abate.
In seguito ai restauri, l’apparato risulta arricchito da una cornice, sulla cui sporgenza sono inoltre riemersi strumenti del mestiere, quali un vasello dotato di stilo, un compasso, e un filo a piombo. Non da ultimo, i frati nel 1598 decisero di adornare le pareti laterali con una fascia continua di affreschi, eseguiti da Benedetto e Cesare Veli e raffiguranti santi e beati del loro ordine religioso. Ed è stata proprio la curiosità sorta dalla scoperta di questo fregio ricoperto dalla ridipintura ottocentesca a risvegliare il desiderio per l’intervento di restauro.
Le modifiche architettoniche apportate dai conti Dzeduszycki, che dopo le leggi di liquidazione dell’asse ecclesiastico del 1866, resero il convento un castelletto di stile medievale e il refettorio un salone di rappresentanza, sono state annullate: l’ampio camino è stato demolito, le tre porte aggiuntive da loro aperte sono state tamponate, e sono state ripristinate le tre finestre sulla parete destra, che con realismo impressionate il Ghirlandaio fece rispecchiare sulle bottiglie. Si è infine intervenuti con il restauro del pulpito, degli ulteriori elementi lapidei e degli intonaci antichi. Questa politica di restauro che privilegia l’autenticità risulta tanto più adeguata considerando che la struttura è tornata alla propria naturale fruizione di abbazia sin dal 1986. Ci si augura che il refettorio, ora nella sua rinnovata bellezza, ospiti concerti, convegni, studi e incontri, come nel suo passato più prospero.