El Niño, ospite indesiderato in Africa
El Niño è un regalo di fine anno poco gradito da tutti. Il surriscaldamento del Pacifico tropicale comporta siccità e inondazioni che stanno dando il loro massimo in questi giorni, e continueranno ad influenzare nel 2016 i sistemi meteorologici del mondo intero. L’Africa pagherà un caro prezzo.
El Niño quest’anno ha cominciato a prendere forza a Marzo. Sarà uno degli eventi colmatici più estremi che il pianeta Terra abbia mai conosciuto e l’OCHA, l’organismo delle nazioni Unite che coordina gli aiuti alle emergenze, è certa che “milioni di persone ne subiranno le conseguenze”. La correlazione tra El Niño e la siccità in Africa australe e nella regione del Corno d’Africa, e le forti precipitazioni in Africa orientale è stata dimostrata. Il legame tra El Niño e il clima del resto del continente è meno evidente. Altri fattori entrano in gioco, come le temperature del Nord Atlantico che influiscono sulle condizioni metereologiche in Africa Occidentale, affermano gli specialisti del Programma Alimentare Mondiale (PAM). La crescita di potenza del Niño nel 2016 è una notizia che preoccupa molto i contadini e i pastori delle regioni dell’Africa già coinvolte, perché per il secondo anno consecutivo subiranno gravi danni alla già scarsa produttività. L’80% di queste popolazioni dipende dall’agricoltura. La loro capacità nel fa fronte ad avversità è già stata messa a dura prova. Domani per loro l’esame sarà ancora più difficile da superare. Quali previsioni si fanno per queste regioni così vulnerabili?
In Africa australe più di 30 milioni di persone soffrono già di “incertezza alimentare”, e non hanno accesso ad una quantità sufficiente di cibo per condurre una vita sana perché i raccolti di quest’anno sono stati molto scarsi. Normalmente, la produzione di mais di questa porzione di Africa viene considerata un’assicurazione contro le eventuali carenze. Ma quest’anno, l’emergenza siccità è stata dichiarata in cinque provincie e la produzione è calata del 30%. Il timore più grande è che la regione abbia un altro cattivo raccolto a causa di El Niño, un raccolto che l’OCHA definisce già “disastroso”. Gli stock di mais dedicati alle emergenze sono già finiti e i prezzi dei cereali aumentano. I Governi duramente colpiti dall’abbassamento mondiale dei prezzi delle materie prime, dalle quali dipendono le loro economie, dovranno trovare i soldi per comprare granturco sul mercato internazionale. Il Sudafrica dovrà importare 750.000 tonnellate di mais per soddisfare i suoi bisogni.
L’Africa australe è una regione nella quale la maggioranza dei Paesi sono Paesi dove la popolazione gode di un reddito medio, ma le popolazioni rurali presentano gli indicatori di povertà più alti al mondo. In Sudafrica, motore economico del Continente, quasi un quarto dei bambini di meno di cinque anni soffrono di ritardi nella crescita. Questo livello di privazioni limita la capacità di resilienza degli individui in seguito ad una catastrofe. I Paesi che si prevede verranno più colpiti nel 2016 sono l’Angola, il Sudafrica, il Mozambico, il Botswana, la Zambia, lo Zimbabwe, il Lesotho e lo Swaziland. Tutti si preparano alla siccità. Il PAM, per esempio, in Zimbabwe versa dei fondi e organizza programmi che aiutino a fronteggiare l’aggravamento della situazione nel quadro della sua nuova politica: la Food Security Climate Resilience Facility (FoodSECuRE). Più a Nord, nel Corno d’Africa e in Africa orientale, due regioni cha hanno sistemi climatici e agricoli complessi, la situazione di El Niño è meno chiara e di ancora più difficile gestione.
Deboli precipitazioni sono state registrate in alcune regioni dell’Eritrea, a Gibuti, in Sudan e in Somalia, ma i media internazionali hanno concentrato la loro attenzione sull’Etiopia forse per via del facile e più impattante confronto con la carestia del 1984 e per l’impressionante numero di persone in difficoltà. Per via dell’insufficienza delle piogge “Belg” ( piccole precipitazioni tra Marzo e Maggio) e delle piogge “Kiremt” (grandi piogge tra Luglio e Ottobre), l’Etiopia vive un periodo di grande siccità. Le regioni maggiormente colpite sono quelle del Nord e dell’Est del Paese. Le Nazioni Unite ritengono che 15 milioni di persone nel 2016 dovranno fare i conti con problemi alimentari essendo il prossimo raccolto previsto solo a Giugno. In Etiopia vivono 100 milioni di persone, tra questi, otto milioni beneficiano già del Programma della rete per la sicurezza produttiva. Il Governo ha versato 192 milioni di dollari per lottare contro la crisi, ma Save the Children fa sapere che è urgente che “i finanziatori e la comunità internazionale rafforzino il loro sostegno al Governo affinché la situazione non degeneri”. La Storia insegna che la fame si trasforma in un lampo in rivolta. Nel frattempo, nelle regioni del sud del Paese si attendono precipitazioni fortissime e inondazioni. La situazione ne bacino del fiume Chebeli e la regione più orientale del Somali suscitano ancor più preoccupazione, perché qui 315.000 persone potrebbero essere spazzate via dalle acque. Non solo le inondazioni costringono le popolazioni a migrare, ma portano con loro la distruzione delle infrastrutture, di ponti e strade, sconvolgono l’accesso ai mercati, inondano scuole e ospedali. La Somalia, il Paese con il peggior indice umanitario e di sviluppo al mondo, è confrontato agli stessi rischi siccità-inondazioni. La siccità ha già bruciato le regioni del Somaliland e del Puntland, al nord del Paese, e forti precipitazioni hanno provocato inondazioni che, secondo le stime dell’OCHA, avrebbero colpito 900.000 abitanti del sud e del centro del Paese. Senza un ancora incisiva influenza di El Niño, già 3,2 milioni di somali hanno bisogno di un sostegno vitale e di meccanismi che distribuiscano in modo efficiente i beni di sussistenza, inoltre, 1,1 milioni di persone vivono lo stato di profugo all’interno del loro stesso Paese.
Brevi piogge, in quantità sufficiente e regolare tra Ottobre a Dicembre, favoriscono i pascoli, migliorano lo stato delle colture e favoriscono la possibilità di lavoro stagionale per le famiglie più povere. Se le precipitazioni sono invece troppo importanti, se continuano tra gennaio e Febbraio, gli animali già indeboliti dalla lunga stagione secca rischiano di morire di freddo. Forti precipitazioni possono anche favorire la comparsa di malattie legate all’acqua, come il colera e il tifo. Il bestiame viene colpito dalla febbre della Rift Valley (FRV), una malattia virale trasmessa dalle zanzare. Il fenomeno di El Niño associato a riscaldamento dell’Oceano Indiano lungo il litorale del’Africa Orientale genera precipitazioni che il dipartimento di meteorologia del Kenya ha definito “rinforzate”. Il piano d’urgenza elaborato dal Governo prevede che un milione di persone rischiano di essere vittima delle inondazioni. Il piano propone la distribuzione di semi per l’emergenza e fertilizzanti sovvenzionati, così come la vaccinazione a grande scala contro la FRV. In Uganda il Governo ha chiesto a 800.000 persone considerate maggiormente esposte al rischio di smottamenti nelle zone di montagna di recarsi nelle regioni più sicure, dove verrebbero assistiti. Nelle regioni del Monte Elgon e del Monte Rwenzori, così come nelle zone esposte alle inondazioni, è già operativo un gruppo misto di civili e militari pronto ad aiutare le popolazioni locali (Civil-Military Disaster Response Group).
Senza creare falsi allarmi, ormai sappiamo tutti quanto vulnerabili siamo oggi davanti alle variazioni climatiche. El Niño non avrà difficoltà a mettere in ginocchio un Continente che già ha difficoltà ad gestire le tante emergenze, che non sono solo climatiche. Un po’ più di sensibilità da parte di tutti noi e maggiore rispetto per l’aria che respiriamo, potrebbe essere uno dei buoni propositi per il 2016.