Iran e Arabia Saudita, luci e ombre
In questi giorni, più che mai, Iran e Arabia Saudita sono in piena guerra di nervi. L’esecuzione da parte della monarchia saudita, paladina della tradizione sunnita, di un capo religioso appartenente alla minoranza sciita ha scatenato una reazione senza pari nei Paesi appartenenti a questa confessione. Primo fra tutti l’Iran. L’incendio dell’ambasciata saudita a Teheran, anche se denunciato dallo stesso Iran, ha fatto sì che Ryad interrompesse le relazioni diplomatiche.
L’episodio riassume le tensioni scatenate dalla lotta di potere che i due rivali regionali si fanno da tempo e dai conflitti extra-territoriali interposti (come la Siria e lo Yemen), per raggiungere l’egemonia in Medio Oriente. Ma le cose non sono “semplici” come appaiono, esistono delle zone d’ombra. Ricordiamo che quasi un anno fa, subito dopo la morte del Re Abdallah, aveva avuto inizio un riavvicinamento, timido ma reale, tra Ryad e Teheran. Mohammed Javad Zarif, Ministro degli Esteri iraniano, era stato uno dei primi capi di Stato a recarsi a Ryad per rendere omaggio al Re defunto. In quell’occasione aveva affermato che un riavvicinamento tra il suo Paese e l’Arabia Saudita fosse “necessario”. Sicuramente una dichiarazione tattica, visto che l’Iran stava cercando con tutte le sue forze di uscire dal confinamento diplomatico nel quale il suo sospetto programma nucleare lo aveva portato, ma anche realista visto che le due potenze vedevano crescere la forza devastatrice dell’Isis, l’ormai tristemente nota organizzazione terroristica che ha come fine ultimo la creazione di uno Stato Islamico a loro concorrente, basato come il loro sulla sharia. Dopo la sua elezione avvenuta nel 2013, il Presidente iraniano Hassan Rohani aveva dichiarato che i due Paesi avrebbero dovuto “lavorare insieme per promuovere la stabilità e la pace nella regione.”
In effetti diversi specialisti della regione affermano che erano in corso discussioni importanti sulla cooperazione nella lotta contro il terrorismo così come sui dossier dei conflitti in Irak, Siria e Yemen, come conferma anche un portavoce del Ministero degli Affari Esteri che poco prima di Natale aveva fatto riferimento a “sforzi diplomatici in corso” con obbiettivo di “preparare il terreno al dialogo diretto in vista di una soluzione per le questioni regionali e per le controversie”. Sedendosi per la prima volta insieme al tavolo dei negoziati per la Siria, l’Iran e l’Arabia Saudita avevano promosso, lo scorso Novembre a Vienna, un piano che abbozzava i contorni di una transizione politica in quel Paese in conflitto da quasi cinque anni. L’Iran sappiamo appoggia il potere siriano e i sauditi i gruppi ribelli salafisti, l’importanza di quel embrione di accordo non può essere negata. Ma visti gli ultimi eventi, sembrerebbe che ora tutto si fermi, almeno per qualche mese. Zarif e Rohani sembravano veramente cercare una pacificazione della situazione e farla evolvere verso una sorta di governance regionale pacifica tra l’Iran e l’Arabia Saudita. Prova di questo avvicinamento, un nuovo ambasciatore saudita doveva arrivare nei prossimi giorni a Teheran, proprio per continuare la strada intrapresa. Altro segnale, Ryad aveva appena riaperto la sua ambasciata a Baghdad chiusa da 25 anni. L’Irak è un Paese sciita legato all’Iran.
Cosa è successo? Perché azioni come l’incendio dell’ambasciata saudita e l’uccisione del capo religioso sciita sono potute accadere in un contesto di dialogo? Una risposta plausibile è che esistono nella stessa classe dirigente di ognuno dei due Paesi fazioni politiche che si oppongono ad un possibile dialogo tra i due nemici storici. Quando il Re Salamane è arrivato sul trono, ha cambiato buona parte della classe dirigente. Quelli che sono rimasti della vecchia guardi, reticenti nei confronti di questa evoluzione diplomatica, sembra si stiano imponendo. Da parte iraniana, le fazioni ultraconservatrici si stanno risvegliando. Hanno saputo giocare la carta delle sanzioni economiche e delle scelte politiche attuate negli ultimi dieci anni. Importanti flussi finanziari hanno attraversato il Golfo, soprattutto verso gli Emirati Arabi, attraverso società accolte a braccia aperte. Per questo motivo, quelli che hanno appoggiato questo sistema, raccogliendone gli importanti dividendi, non vedono di buon occhio un Iran nuovamente attore della scena diplomatica regionale e riconquistare i mercati mondiali. Non vogliono perdere i privilegi acquisiti. Qualcuno afferma che gli ultimi incidenti non vedano coinvolti i conservatori più accaniti che avrebbero potuto incitare lo zoccolo duro della popolazione a dare fuoco all’ambasciata saudita. Numerosi osservatori hanno parlato di un gruppo organizzato, quasi professionale, attaccare l’ambasciata.
Il Ministro degli Affari Esteri iraniano Zarif ha affermato, in una lettera indirizzata al Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, che non aveva nessun interesse nell’alzare l’asticella della tensione con i suoi vicini, e che tutti dovevano rimanere uniti nella lotta al terrorismo che minaccia tutti nella regione. Teheran non ha torto a porgere il ramo d’ulivo. Certamente la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due grandi Paesi islamici avrà un impatto negativo sulla pace e la sicurezza regionale e implicazioni geopolitiche importanti. I disordini degli ultimi anni in Medio Oriente hanno creato zone di caos e anarchia che si sono trasformate in focolai di violenza estremista. Isis e Al Qaeda tristemente insegnano. Proprio quando la lotta contro il terrorismo stava prendendo slancio, il deteriorarsi delle relazioni irano-saudite rallentano questo processo, facendo perdere tempo prezioso. La volontà di pacificazione manifestata dall’Iran dovrebbe far si che i Paesi della regione facciano prova di saggezza e impediscano alla situazione di arrivare ad un punto irreversibile di rottura. Tutti hanno da perdere in questa storia. Noi occidentali compresi.
Il 25 Gennaio l’ONU spera vedere aprirsi a Ginevra i negoziati tra il regime di Assad, appoggiato da Teheran, e i ribelli che combattono il suo Governo, sostenuti dall’Arabia Saudita. I Ministri degli Esteri dei due Paesi affermano voler portare avanti il processo malgrado i dissensi. Stessa assicurazione è stata data dall’emissario delle NU per la Siria, Staffan de Mistura, in visita a Teheran. Sarebbe già un primo passo importante verso la ripresa del dialogo generale.