Tsai Ing-wen, la nuova Presidentessa di Taiwan
Taiwan – L’oppositrice alla politica del riavvicinamento con la Cina è stata eletta lo scorso Sabato 16 Gennaio. Qualcuno la paragona già con Angela Merkel.
La candidata dell’opposizione a Taiwan, Tsai Ing-wen, è diventata la prima donna Presidente dell’Isola, infliggendo così una pesante sconfitta al Partito al potere, il Kuomintang (KMT). Rinnegando il KMT, favorevole ad un riavvicinamento con Pechino, gli abitanti di Taiwan hanno chiaramente detto no a relazioni più strette con la Cina. Secondo la commissione elettorale, la candidata del Partito Democratico Progressista (PDP), ha ottenuto il 56,12 % delle preferenze contro il 31,04% di Eric Chu, candidato del KMT che incassa una sconfitta storica. Questo risultato ha avuto come conseguenza anche la perdita della maggioranza in seno al Parlamento. Nella sua prima conferenza stampa, Tsai Ing-wen ha tenuto a ricordare a Pechino di rispettare il “sistema democratico, l’identità nazionale e l’integrità territoriale” di Taiwan. “Qualsiasi forma di violazione influirà sulla stabilità delle relazioni tre le due sponde dello stretto”.
Erano otto anni che il KMT, e il Presidente uscente Ma Jing-jeou, tentavano di riavvicinarsi al regime comunista cinese. Una politica che non conviene più alle aspirazioni, e aspettative, degli elettori di Taiwan. Per gli esperti questa vittoria inevitabilmente complicherà, se non peggiorerà, le relazioni tra Taiwan e la Cina. Pechino ha già risposto all’elezione di Ing-wen avvertendo che non avrebbe dialogato con un dirigente che non ammette che Taiwan faccia parte di “una sola Cina” e il nome della nuova Presidentessa è stato censurato da Weibo, il principale social network cinese. Ma grazie a queste elezioni, che la Cina la accetti o no, la nuova capo di Stato diventa una figura di spicco della politica nell’area asiatica.
Per la sua modestia l’ex docente universitaria viene già paragonata ad Angela Merkel, che ammira. Laureata alla London School of Economics, Tsai Ing-wen durante il Governo di Chen Shui-bian ha coperto l’incarico di Ministro per gli Affari continentali (2000-2004). Durante le elezioni presidenziali del 2012, la sua diffidenza nei confronti di Pechino le era costata la vittoria, ma questa volta, è proprio questo ad aver giocato in suo favore. Questo suo atteggiamento di sfida così come la frustrazione di una importante parte dei 18 milioni di elettori confrontati alla stagnazione economica. Malgrado la firma di accordi commerciali e del boom del settore del turismo, numerosi taiwanesi credono che essendo Taiwan diventata economicamente dipendente da Pechino, l’Isola abbia perso la sua identità e sovranità. Per molti di loro, questa politica non avrebbe portato profitto neanche alle grandi imprese.
Taiwan è indipendente dal 1949, quando i nazionalisti del KMT vi si sono rifugiati dopo essere stati sconfitti sul Continente dai comunisti. Dopo qualche anno di dittatura, alla fine degli anni ‘80 il multipartitismo è riuscito a insediarsi a Taiwan. Il PDP e i suoi alleati, di orientamento progressista e favorevole alla presa di distanza con la Cina, si oppone alla coalizione dei conservatori del Kuomintang, organizzazione anti-comunista ma sempre più propensa alla stretta collaborazione con il vicino continentale. Collaborazione giudicata oggi “troppo” stretta” dagli elettori preoccupati di vedersi trasformati in una nuova Hong Kong, senza margini di manovra e dalle libertà minacciate. Il disgelo delle relazioni con Pechino aveva raggiunto il suo culmine in Novembre con il primo summit organizzato dalla separazione tra la Cina continentale e l’Isola di Taiwan avvenuta più di 60 anni prima anche se in tutti questi anni il KMT era riuscito bene negli equilibrismi che la vedevano mantenere la distanza con coloro che lo “avevano cacciato dal potere” con la forza e l’amore per l’idea di “una sola Cina”. Ma l’elezione di Tsai Ing-wen rimette tutto in questione nonostante lei si muova con prudenza, affermando da una parte che Taipei debba mettere fine alla sua dipendenza economica con Pechino e dall’altra che lo “statu quo” verrà mantenuto.
Un tacito accordo concluso nel 1992 tra Pechino e Taipei vuole che non ci sia che “una Cina” e lascia alle parti in causa la possibilità di interpretarlo come meglio credono. Ma tutto questo rimane nel registro degli annunci. Siamo in un gioco di ruolo. Se il potere di Pechino non ha alzato il tono più di tanto è perché si trova incastrato da decenni nel rifiuto di vedere il mondo com’è veramente. I capi del Partito saranno costretti a confrontarsi con Tsai Ing-wen che non provocherà mai un casus belli, è troppo pragmatica per ignorare che malgrado la sua poca fiducia nei confronti di Pechino, l’elettorato taiwanese è attaccato al mantenimento di relazioni pacifiche con il continente. Se da una parte l’opinione pubblica taiwanese non vuole essere integrata alla Cina e alla sua immagine dittatoriale e brutale, dall’altra non vuole rompere totalmente, cosciente del fatto che la Cina considera l’Isola “sua”.
Tsai Ing-wen, oltre ad aver tranquillizzato gli elettori più preoccupati, promettendo di mantenere lo status quo esistente (quindi niente rivendicazioni “pericolose” che potrebbero far arrabbiare Pechino), ha affermato voler attuare un’altra parte importante del suo programma che permetta di creare un Paese più progressista, proiettato maggiormente sui diritti umani e sulla qualità della vita. Ricordiamo tutti le manifestazioni del 2014 e 2015 che hanno visto fiumi di studenti protestare contro il riavvicinamento tra Taipei e Pechino. La Cina non recupererà Taiwan, è ormai troppo tardi, a meno che non l’attacchi, cosa poco probabile.