Le unioni civili
Il tema delle unioni civili sta per passare dalle piazze al Parlamento e la “bagarre” non accenna a smettere. Eppure, su temi di tanta delicatezza, e che interessano una parte non indifferente della società civile, si richiede un dibattito aperto, sereno e reciprocamente rispettoso, non una nuova guerra di religione e meno che mai barricate destra-sinistra. Che la Chiesa e i movimenti cattolici facciano sentire la loro voce è naturale e legittimo. Però l’Italia è uno Stato laico e alla fine decide il Parlamento. Tra l’altro, molte battaglie, come a suo tempo quella sul divorzio, creano un muro contro muro inutile. La realtà, preannunciata come catastrofica, si dimostra poi molto più normale, ed oggi chi si sentirebbe di condannare moralmente i divorziati, se pure la Chiesa di Papa Francesco si interroga su come ammetterli ai Sacramenti? È anche legittimo che i diretti interessati alla regolarizzazione delle loro unioni manifestino il loro pensiero (ma certe chiassose esibizioni fanno più male che bene, perché mostrano il volto più grottesco di certe situazioni). Ma certa gente farebbe bene a star zitta: penso a Vendola, giudice in causa propria, alla Boldrini, che è portata talvolta a dimenticare il suo ruolo “super partes”. E a Berlusconi: ma con che faccia si erge a paladino della famiglia e della morale proprio lui, l’uomo dei bunga bunga?
Mantenere la calma su questo tema è, anche per un cattolico liberale, non facile, ma necessario. E occorre partire da alcuni punti fermi. Il primo mi pare sia questo: le unioni tra persone dello stesso sesso esistono , non sono più un fenomeno quantitativamente insignificante, l’opinione pubblica le viene ormai accettando, ed è quindi dovere dello Stato dare loro un’adeguata normativa. Ciò accade da tempo nella stragrande maggioranza dei paesi civili, compresi quelli a forte tradizione cattolica come la Spagna e l’Irlanda, per non parlare della Francia. Il secondo punto mi sembra sia la natura del matrimonio (lasciamo stare anche il diritto naturale e i precetti religiosi): vi è una sentenza della Corte Costituzionale del 2010 che chiaramente definisce il matrimonio come un istituto pensato dalla Costituzione per persone di sesso diverso e quindi esclude l’equiparazione ad esso delle unioni civili. In un Paese laico non imperano, magari, i principi religiosi, ma quelli costituzionali sì.
Questi sono i due paletti entro i quali ci si deve muovere. Sotto questo aspetto, il DDL Cirinnà mi pare nella sostanza abbastanza equilibrato, ma va chiarito e migliorato negli articoli 5 e 6 (a che serve il richiamo alla disciplina del matrimonio?). Il punto più contenzioso pare però essere quello dell’adozione. Il testo Cirinnà si limita a prevedere la c.d. “stepchild adoption”, cioè la possibilità per uno dei due partner di adottare il figlio naturale o adottivo dell’altro. Francamente, la cosa non mi scandalizza, purché si chiarisca che si tratta di una fattispecie specifica e non prelude all’accettazione generalizzata dell’adozione da parte di coppie omosessuali. In definitiva, in questa materia deve prevalere solo e sempre l’interesse del minore, non l’ideologia. Mi sembra però perfettamente logico e consigliabile che si lasci al Giudice la possibilità di vagliare caso per caso le diverse situazioni e pronunciarsi, appunto, nell’esclusivo interesse del minore.
Tutto il resto (come la proposta di rendere un reato la maternità sostituta contratta all’estero) è polverone destinato a sparire. Come probabilmente sfumeranno i più di cinquemila emendamenti presentati da varie parti. Comunque, la discussione in Parlamento sarà aspra e accesa e temo che assisteremo all’eterna, inevitabile gazzarra. Auguriamoci almeno che Governo e forze politiche riconoscano che si tratta di problemi che riguardano la coscienza individuale, non di crociate ideologiche o politiche, o di referendum sulla tenuta della maggioranza, e non impongano improvvide tagliuole. E alla fine prevalga il buon senso.