L’Europa di Schengen
Al tempo in cui lavoravo a Bruxelles, gli accordi di Schengen furono salutati come un enorme, decisivo passo avanti sulla strada dell’integrazione continentale. La libertà di circolazione tra i Paesi europei, di fatto, completava e arricchiva quella delle merci e dei servizi, preludeva alla moneta unica e costituiva un poderoso simbolo della caduta delle barriere tra Paesi membri e del sorgere di una identità europea. Quegli accordi furono (come per l’euro) frutto di una illuminata volontà politica, non di una scelta burocratica o tecnica. Anzi, ricordo bene che le Autorità di sicurezza in tutti i Paesi membri storsero la bocca; perdevano funzioni importanti e prevedevano difficoltà nei controlli di polizia, nei quali continuava a rifugiarsi la tanto apprezzata “sovranità nazionale”. Alcuni Paesi, come l’Inghilterra (vedi caso!) preferirono infatti restare fuori. Altri, come la Svizzera, pur non essendo parte dell’UE, vi aderirono.
Nei decenni trascorsi, quegli accordi hanno nell’insieme funzionato bene, creando solo problemi marginali. Le cose sono però cambiate a partire dal momento in cui il terrorismo è diventato un problema grave e di carattere transnazionale. E ormai la libertà di circolazione è apertamente messa in discussione da parte di alcuni membri e la stessa Commissione, guardiana dei trattati, mostra qualche comprensione in proposito.
Come sempre, la verità e il buon senso tendono a perdersi di vista nei fumi delle polemiche e delle posizioni preconcette, sempre fastidiose tra Paesi che dovrebbero essere solidali (Germania contro Grecia, Francia contro Belgio e così di seguito). Cerchiamo di stare alla realtà: il problema di maggiori controlli, che impediscano ai terroristi di muoversi liberamente per tutta Europa sfuggendo così alla cattura (com’è successo per gli autori degli attentati di Parigi) esiste. Negarlo è stupido e inutile. Ma mi rifiuto di pensare che questi controlli non possano realizzarsi senza abolire o sospendere la libera circolazione di decine, centinaia di migliaia di persone perbene e del tutto pacifiche che quotidianamente attraversano le frontiere interne dell’Unione. Tra l’altro, controlli “at random” vengono di solito effettuati, ma non servono molto, se è vero che due dei terroristi di Parigi poterono attraversare la frontiera belga senza che la Polizia di quel Paese li fermasse, pur essendo sospetti di trasportare droga. Mi rifiuto di credere che una più stretta e tempestiva informazione reciproca e coordinamento tra le polizie europee (tra l’altro esiste un organo specifico, Europol) non serva e non basti a seguire le tracce dei terroristi dovunque vadano.
Accorgimenti per migliorare i controlli sono, ovviamente, possibili, senza intaccare il principio della libera circolazione. Siamo di fronte a una scelta che non riguarda solo Schengen: vogliamo davvero ritornare alle barriere tra Nazioni? La Direttrice del FMI e il nostro Ministro dell’Economia hanno detto che rinunciare a Schengen porterebbe a conseguenze dirette e gravi su tutto l’insieme dell’integrazione, compresa la moneta comune. Non so se ciò sia scontato, ma una cosa è certa: ci sono voluti quasi sessant’anni per costruire pezzo a pezzo l’Europa. Se per l’esistenza di una banda di fanatici terroristi ci mettessimo ora a smontarla, renderemmo a quella gente un servizio straordinario. Mi auguro che il Governo del mio Paese, e che il grande movimento popolare europeo, si oppongano a questa follia.