Bella e perduta (Film, 2015)
Pietro Marcello (Caserta, 1976), diplomato all’Accademia delle Belle Arti – nel suo cinema si nota – attivo nel documentario (Il cantiere, La baracca, Il passaggio della linea, La bocca del lupo, Marco Bellocchio…), spesso premiato, debutta nella fiction. Dobbiamo dire che i risultati non convincono appieno, perché Bella e perduta procede con ritmo compassato e blando, tra metafore altisonanti e astruse, in una quasi totale assenza di storia. Uscito nelle sale a novembre 2015, soffre di carente distribuzione, forse per la difficoltà a proporlo nel circuito delle sale normali. Bella e perduta può andare bene per il cinema d’essai, se presentato a una platea preparata e consapevole di assistere a un film senza sceneggiatura, a una non storia, debordante poesia e immagini affascinanti, ma niente di più.
Proviamo a raccontare quel che accade in 87’ di docu-fiction, anche se il termine è riduttivo e preferiamo parlare di documentario poetico. Pulcinella (Vitolo), maschera che rappresenta tutta la Campania (la bella e perduta del titolo), deve esaudire le ultime volontà di Tommaso (Cestrone), custode della reggia di Carditello, abbandonata e tormentata da assalti camorristici. Il nostro intermediario tra i vivi e i morti deve portare in salvo un piccolo bufalo parlante (lo sente solo quando indossa la maschera da Pulcinella), che comunque ha la sorte segnata, perché un bufalo maschio non serve, deve soltanto morire.
Il film è girato benissimo, Marcello dimostra assoluta padronanza della tecnica, tra fotografia perfetta e immagini suggestive, languidi piani sequenza, panoramiche marine e campestri che sostituiscono la narrazione. Il rischio del calligrafico diventa certezza quando ascoltiamo I miei pastori di D’Annunzio e gli struggenti versi di Anna Maria Ortese. Non comprendiamo il paragone con il Pasolini di Uccellacci e uccellini che certa critica mette in campo, perché il senso del bufalo parlante è ben altro rispetto al corvo marxista che finisce in padella. Non solo, Marcello scrive e dirige una sorta di fiaba dai toni magici, non tanto allegorici, quanto metaforici, sognanti, surreali. La parte politica resta confinata al documentario con alcune sequenze girate nella terra dei fuochi che ritraggono scioperi e contestazioni, ma anche azioni camorriste contro la reggia di Carditello. Fuori luogo i paragoni con Carmelo Bene e Bresson, soprattutto con il primo, autore di un cinema-teatro sconvolgente e dissacrante.
Pietro Marcello, se dio vuole, non deve pagare debiti con nessuno, perché la sua ispirazione è del tutto personale: cinema poetico, surreale, metaforico e favolistico, che trova la sua ragion d’essere nel senso di appartenenza a un territorio. In definitiva un lavoro interessante, lontano mille miglia dalla mia idea di cinema, ma in ogni caso da vedere per scoprire che in Italia ci sono ancora cervelli pensanti che fanno cinema soltanto se ispirati. Pietro Marcello, può piacere o non piacere, ma non c’è dubbio sulla sua qualità di autore, nel senso più letterario del termine.
. . .
Regia: Pietro Marcello. Soggetto e Sceneggiatura: Maurizio Braucci, Pietro Marcello. Produttori: Sara Fgaier, Pietro Marcello. Case di Produzione: Avventurosa, Rai Cinema, Istituto Luce Cinecittà, Cineteca di Bologna. Distribuzione: Istituto Luce Cinecittà. Durata. 87’. Interpreti: Tommaso Cestrone (Tommaso), Sergio Vitolo (Pulcinella), Gesuino Pittalis (pastore), Elio Germano (voce Sarchiapone)
[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]