Agromafie, un business che supera i 16mld
Il quarto Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, presentato nei giorni scorsi, ha delineato un quadro piuttosto preoccupante. Associazione per delinquere di stampo mafioso e camorristico, concorso in associazione mafiosa, truffa, estorsione, porto illegale di armi da fuoco, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, contraffazione di marchi, illecita concorrenza con minaccia o violenza e trasferimento fraudolento di valori sono le tipologie di reati riscontrate, con più frequenza, da parte delle organizzazioni criminali operanti nel settore agroalimentare con il business delle cosiddette Agromafie che ha superato i 16 miliardi di euro nel 2015.
Per raggiungere l’obiettivo i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, furto di bestiame, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni. Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente. Su tutto il territorio nazionale sono 26.200 i terreni nelle mani di soggetti condannati in via definitiva per reati che riguardano l’associazione a delinquere di stampo mafioso e la contraffazione.
Questo avviene perché il processo di sequestro, confisca e destinazione dei beni di provenienza mafiosa si presenta lungo e confuso, spesso non efficace e sono numerosi i casi in cui i controlli hanno rilevato che alcuni beni, anche confiscati definitivamente, sono, di fatto, ancora in mano ai soggetti mafiosi. Da ciò si evidenzia che vengono sprecati tra i 20 e i 25 miliardi di euro per il mancato utilizzo dei beni confiscati sulla base delle stime dall’Istituto Nazionale degli Amministratori Giudiziari (INAG).
Si calcola che circa un immobile su cinque confiscato alla criminalità organizzata sia nell’agroalimentare. Il 53,5% si concentra in Sicilia, mentre la restante parte riguarda la Calabria (17,6%), la Puglia (9,5%) e la Campania (8%). Seguono con percentuali più contenute la Sardegna (2,3%), la Lombardia (1,6%), la Basilicata (1,5%) e il Piemonte (1,3%), le altre regioni si attestano sotto l’1%.
L’intensità dell’associazionismo criminale è più presente nel Mezzogiorno ma il grado di penetrazione è forte e stabile anche nel Centro d’Italia ed è particolarmente elevato in Abruzzo ed in Umbria, in alcune zone delle Marche, nel Grossetano e nel Lazio, in particolar modo a Latina e Frosinone. Anche al Nord il fenomeno si mostra, in tutta la sua forza, in Piemonte, nell’Alto lombardo, nella provincia di Venezia e nelle province romagnole lungo la Via Emilia. Tale infiltrazione non sorprende affatto visto la capacità di controllo e di penetrazione territoriale di ʽNdrangheta, Mafia e Camorra.
Il problema più preoccupante di tutti questi fenomeni riguarda la sicurezza e la qualità dei prodotti, che rischiano di minare, in primis, la salute dei consumatori ed anche il valore del marchio Made in Italy. Fortunatamente nel nostro Paese, al contrario che in altri, le autorità preposte alla sorveglianza e alla tutela del settore agroalimentare agiscono in modo puntuale e con trasparenza. Queste particolari notizie vengono alla luce subito perché esiste un controllo severissimo da più comparti specializzati. Chi consuma prodotti italiani può stare tranquillo, per i prodotti esteri tutta questa trasparenza ancora non c’è.