Green economy, certificare per competere
Compro ‘green’, ma lo è davvero? Alla domanda, che milioni di Italiani si pongono prima di aprire il portafoglio, sta cercando di rispondere una quantità di imprese consapevoli del potenziale delle certificazioni amiche dell’ambiente.
Le certificazioni ambientali aiutano la qualità delle imprese e l’innovazione, spingono le esportazioni, il fatturato e l’occupazione, indirizzano alla green economy. Ma rappresentano una ricchezza non pienamente utilizzata per una serie di cause: l’insufficiente conoscenza delle certificazioni e dei loro benefici da parte delle imprese che potrebbero adottarle, lo scarso sostegno dell’azione pubblica in sostegno a questi strumenti e la poca conoscenza da parte dei consumatori. Eppure cresce costantemente l’attenzione crescente degli Italiani verso la sostenibilità, e aumenta l’orientamento del nostro settore produttivo verso la green economy. Il l 24,5% delle nostre imprese dall’inizio della crisi ha fatto investimenti green con vantaggi competitivi in termini di export, il 43,4% delle imprese manifatturiere eco-investitrici esporta stabilmente contro il 25,5% delle altre, e ci sono ricadute positive anche sull’occupazione: hanno infatti a che a fare con l’ambiente il 59% dei nuovi posti di lavoro prodotti nel 2015.
Per dare a consumatori e imprese strumenti utili per orientarsi nel vasto mondo delle certificazioni ambientali è nato il rapporto Certificare per competere di Fondazione Symbola e Cloros, realizzato con l’apporto di Certiquality, CSI, CSQA, Centrocot, FSC Italia, Icea, PEFC e da poco presentato a Milano in una conferenza stampa in collaborazione con Accredia. Uno studio approfondito di marchi e certificazioni amiche dell’ambiente che porta alla luce la solida correlazione che esiste tra queste certificazione e competitività delle aziende che le adottano.
Il Rapporto descrive l’universo delle certificazioni e dei marchi ambientali, che oggi è forte di più di 450 presenze nel mondo a cui si affiancano 12 new entry l’anno. Ma nel numero rientrano sia strumenti rigorosissimi sia operazioni di puro greenwashing, ovvero di ‘lavaggio verde’ dell’immagine di un’azienda attraverso iniziative ambientali studiate per nascondere comportamenti produttivi non virtuosi se non dannosi per l’ambiente. Il nostro Paese, con oltre ventiquattromila certificazioni, è il secondo al mondo per numero di certificati ISO 14001, il primo per numero di certificazioni di prodotto EPD, il terzo per Ecolabel ed EMAS. Ed il quinto Paese del G20 per certificazioni forestali di catena di custodia FSC.
Prendendo in considerazione i quattro settori tradizionali del Made in Italy, ovvero Automazione, Abbigliamento, Arredocasa, Alimentari – le cosiddette 4A – Symbola e Cloros hanno messo a confronto le perfomance delle aziende certificate con quelle delle non certificate. Con risultati eloquenti. In piena crisi, tra il 2009 e il 2013, le imprese delle 4A amiche dell’ambiente hanno visto i loro fatturati aumentare, mediamente, del 3,5%, quelle non certificate del 2%: le certificazioni portano in dote, cioè, uno ‘spread’ positivo di 1,5 punti percentuali. Ancora meglio nell’occupazione, dove lo spread arriva a 3,8 punti percentuali: le aziende certificate hanno visto crescere gli addetti del 4%, le altre dello 0,2%. Con vantaggi particolarmente spiccati nell’abbigliamento (spread nel fatturato +3,6) e nell’automazione (spread per gli addetti +3,9).
Determinante, per le imprese, anche l’essere attente alla sostenibilità sul fronte export: le imprese delle 4A con certificazione ambientale esportano nell’86% dei casi, mentre le non certificate nel 57%. E se le certificazioni giovano a tutte le imprese, alle aziende medio piccole mettono il turbo: le PMI (fino a 50 addetti) con certificazione ambientale registrano uno spread di +4 punti nel fatturato (contro un +1,1 delle medie, fino a 250 addetti, e un +0,6 punti delle grandi) e di 1,2 punti negli occupati (contro lo 0,6 o 0,7 delle altri classi).
Performance che si spiegano anche con la sempre maggiore sensibilità degli Italiani verso la sostenibilità. Come testimonia un sondaggio Ipsos curato per questo studio infatti, i cittadini del Bel Paese dimostrano un discreto interesse verso il green, buona familiarità e fiducia verso le certificazioni ambientali: l’80% degli intervistati le ritiene affidabili. C’è dunque una generale aspettativa positiva, ma c’è notevole differenza tra questa familiarità e la conoscenza reale delle certificazioni. Se si chiede di indicare spontaneamente i marchi di certificazione conosciuti sa dare una risposta il 39% degli intervistati. E tra questi meno della metà, ossia il 15% degli Italiani, indica nomi di certificazioni ambientali esistenti. Segno che la strada verso una corretta e ampia conoscenza di queste certificazioni e di tutti i vantaggi che portano è ancora lunga.
“Le certificazioni ambientali – ha spiegato il presidente di Symbola Ermete Realacci – sono uno strumento che aiuta crescita, innovazione ed export. Non vanno considerate come una pratica burocratica da adempiere, ma come un elemento determinante nel cammino delle aziende di tutti i settori, e del Paese, verso la qualità. Una certificazione ambientale porta con sé vantaggi nei bilanci, più qualità, migliori rapporti con i consumatori, il territorio, la società e la Pubblica amministrazione; rafforza quella tensione innovativa che è il cuore della sostenibilità e della green economy. Marchi e certificazioni amici dell’ambiente aiutano anche a contrastare i mutamenti climatici e spingono l’Italia nella direzione indicata dalla Cop21 di Parigi”.
“Abbiamo promosso questo Dossier per fare chiarezza nel mondo delle certificazioni, un grande valore ad oggi poco conosciuto e sfruttato – ha dichiarato Riccardo Caliari, Amministratore Delegato di Cloros –. Come imprenditore ho la necessità di capire concretamente il legame tra le certificazioni e le performance aziendali; mi sembra indubbio che dalla ricerca sia emerso un legame diretto ed inequivocabile. Dobbiamo ora lavorare su due fronti per far sì che gli obiettivi di contenimento dei cambiamenti climatici diventino un’opportunità e non un problema: da un lato fare informazione verso il consumatore finale sui marchi ambientali e dall’altro fare capire alle aziende che hanno la grande possibilità di creare un vantaggio competitivo”.
Una miniera da sfruttare, insomma. Anzi: il ‘petrolio’ del Bel Paese.
[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]