Cronache dai Palazzi
L’Italia continua a perseverare sulla strada dei ‘conti in ordine’ con la stabilità nel cassetto e una maggioranza di nuovo litigiosa. Mentre il premier Letta incassa la fiducia di Obama a Washington in casa governativa c’è chi annuncia le proprie dimissioni dichiarando di essere stato “escluso dalle scelte”; sul fronte dei partiti che appoggiano l’esecutivo, c’è chi come il Professore si dimette, non accogliendo l’invito dei propri colleghi senatori ad essere più clemente nei confronti dei provvedimenti messi in campo dall’esecutivo di ‘larghe intese’; c’è chi, infine, fa quadrato attorno ai propri ministri (impropriamente) invitandoli a tirarsi indietro.
Il decreto legge che dovrà essere tradotto in legge di Stabilità ha creato non poche polemiche su vari fronti, sia all’interno dell’hinterland politico sia all’interno della società civile. Si tratterebbe di una manovra di Stabilità il cui focus è il rispetto “scrupoloso” degli obiettivi di bilancio per poi proseguire sulla strada della crescita. Facendo eco alle politiche europee, da Washington il premier Letta ribadisce l’indispensabilità di una politica del rigore ben calibrata: “Senza tassi di interesse stabili il nostro debito sarebbe insostenibile” ed è possibile mantenere bassi i tassi di interesse solo con la stabilità. In Italia, sottolinea il premier in visita alla Casa Bianca, i tassi hanno raggiunto i livelli più bassi degli ultimi due anni e questi sono “ottimi risultati”. “Fatti e non parole”, quindi, “sono i fatti a contare” ammonisce il presidente del Consiglio che acutamente rispedisce ai diversi mittenti tutte le critiche avanzate nei confronti della manovra di Stabilità, forte anche della stima che il presidente Obama gli ha dimostrato rimarcandone l’integrità e la capacità di leadership.
Letta solleva inoltre un gap politico che in pratica limiterebbe la nascita degli Stati Uniti d’Europa. “Non c’è un Obama d’Europa”, afferma di fronte alla platea del Brookings Institution, l’autorevole think tank di Washington. Letta rimarca quindi l’assenza di una solida figura di riferimento politico nell’Unione europea che di fatto rende l’Ue un coacervo di persone. “Se Obama dovesse venire a Bruxelles con chi parlerebbe? Con troppe persone”, ha fatto notare il primo ministro italiano.
Letta ha quindi avanzato la necessità di cambiamenti “radicali” all’interno delle istituzioni europee, a partire dall’unificazione in un unico ruolo della figura del presidente del Consiglio europeo con quella del presidente della Commissione, e ha inoltre rimarcato la svolta che potrebbe portare alla costituzione di un’Europa dei popoli che non abbia obiettivi esclusivamente economici ma che sia lo specchio di una collegialità politica espressa dal popolo: un presidente eletto da tutti i cittadini europei. “In Europa manca un mutamento radicale a livello istituzionale – ha ammonito Letta – serve una leadership europea legata agli elettori. C’è un problema di legittimità che sarà cruciale per il futuro dell’Europa. Serve un presidente dell’Ue eletto direttamente dai cittadini. Solo rafforzando il legame delle persone con le istituzioni possiamo rafforzare l’Europa”.
Le parole del premier vengono pronunciare mentre in casa italiana alcuni denunciano l’eccessivo rigore della nuova manovra di Stabilità addebitando il tutto all’eccesso di sovranità europea, che avrebbe sovrastato la sovranità nazionale depotenziando di fatto le capacità economiche, e nel contempo politiche, del Belpaese. Le scuole di pensiero sono comunque diverse ed opposte a riguardo: c’è chi sostiene la necessità di stare in Europa anche se ciò comporta dei sacrifici notevoli, ma in un mondo globalizzato non è più possibile competere sul piano internazionale ‘proteggendo’ le singole sovranità nazionali limitandone, di fatto, le potenzialità e restringendone il raggio d’azione. C’è chi invece sostiene la necessità di sganciarsi dai vincoli europei (soprattutto quelli economici), recuperando una sovranità nazionale piena. Forse è proprio quest’ultimo il punto da cui partire per spiegare all’Italia e all’Europa quella “mancanza di collegialità” che disturba la maggioranza, rende alquanto burrascoso il Parlamento italiano e, in definitiva, deturpa il governo delle larghe intese.
Una collegialità che in altri Paesi europei viene costruita (come in Germania) magari lavorandoci su ma non con estrema fatica come invece sembra avvenire in Italia. Di certo le storie nazionali, le politiche (e i politici) nazionali sono diverse ma le larghe intese non dovrebbero rappresentare un mero pretesto, oppure essere assimilate a strane medicine – “antibiotici” o “vitamine” che siano – da somministrare ad un Paese in coma. Al contrario, le larghe intese dovrebbero rappresentare l’occasione storica giusta per rivitalizzare il Paese a partire dalla politica, dimostrando una reale volontà di cambiamento; non con “coraggio troppo facile” – come ha ammonito il presidente Napolitano di fronte alla platea dei giovani industriali nella capitale partenopea – che potrebbe dimostrarsi un “coraggio irresponsabile”, ma di certo con coraggio e responsabilità.
Il coraggio e la responsabilità passano attraverso l’attuazione delle riforme essenziali alle quali lo stesso presidente Napolitano ha dichiarato di aver vincolato il rinnovo del proprio mandato, correzioni “politiche e istituzionali da tempo riconosciute necessarie”. Un cantiere ancora aperto in cui “la riforma sulla legge elettorale e le revisioni della seconda parte della Costituzione” rappresentano i lavori più ardui da portare a termine nonostante “il percorso” già delineato attraverso il serio apporto di una commissione altamente qualificata”.
Il coraggio e la responsabilità passano inoltre attraverso un taglio più deciso della spesa pubblica – come viene sottolineato anche da Bruxelles – che per ora non risulta particolarmente aggredita dalla manovra di Stabilità. Tutte le eventuali modifiche del decreto legge in questa direzione sono state rimandate al dibattito parlamentare che si preannuncia alquanto acceso, anche perché il flebile equilibrio delle larghe intese cela le forti tensioni interne ed esterne ai partiti della strana maggioranza. Far sì che l’Italia sia un Paese in grado di competere sul fronte europeo dipende dal suddetto coraggio e dalla suddetta responsabilità. Tornando dagli Usa con lo “zaino pieno” il premier Letta non si fa intimorire dalle vicende di casa nostra e dichiara di voler procedere con “determinazione” e un sano “ottimismo” nonostante “la strada in salita”.
©Futuro Europa®
Un Commento
“il premier Letta incassa la fiducia di Obama” – Figuriamoci.
Ormai Obama non incassa più la fiducia da nessuno, forse solo da Letta.