007 italiani, il pericolo jihadista arriva dai Balcani

Nei giorni scorsi – sulla questione libica – il ministro degli Esteri Gentiloni, contrario all’ingerenza militare, ha proposto all’ONU il ruolo guida dell’Italia nelle attività necessarie alla stabilizzazione del Paese nord-africano, processo che passa innanzitutto per la formazione di un governo d’unità nazionale. In contemporanea, a Montecitorio, si è tenuta la presentazione della Relazione parlamentare annuale dei servizi segreti. Gli 007 hanno riferito sugli ultimi mutamenti morfologici della minaccia jihadista, tracciando un quadro che vede particolarmente esposta l’Italia al rischio di attentati.

Gli analisti individuano due profili di minaccia, uno “strutturale” proveniente direttamente dall’organizzazione terroristica centrale, e l’altro “puntiforme”, espressione del composito universo di militanti jihadisti autoctoni, che operano in modo orizzontale e autonomo come lupi solitari o all’interno di micro cellule indipendenti. L’identificazione del nostro Paese come bersaglio da colpire scaturirebbe dalla partnership italiana con Stati Uniti e Israele, dai rapporti instaurati con governi arabi “apostati”, dall’impegno profuso nel contrasto al terrorismo internazionale e dalla passata politica coloniale perseguita in Libia. A rafforzare la percezione dell’Italia quale nemico, incide non poco il valore simbolico e religioso rappresentato da Roma nel mondo, soprattutto se in congiuntura con il Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco. Il timore costante è che, nel mare magnum dei flussi migratori, si mimetizzino jihadisti pronti a replicare altri sanguinosi attentati come quello di Parigi al Bataclan. L’inadeguata gestione europea dell’inarrestabile esodo dal Nord-Africa e dal Medio Oriente è conseguenza delle divergenze in seno all’Unione sul tema dell’accoglimento; tali spaccature rendono di fatto inattuabili strategie comuni diverse dal solito stanziamento di denaro verso i Paesi membri costretti ad affrontare il fenomeno in prima linea. Le intelligence europee tendono a non condividere fra loro le informazioni e i dati raccolti sull’identificazione dei migranti negli hot spot. Estremisti noti in alcuni Stati e sconosciuti in altri approfittano di questa mancanza di comunicazione per sfuggire ai controlli e compiere, una volta giunti a destinazione, efferati attentati.

La direttrice migratoria che, per volumi, maggiormente interessa la penisola italiana è quella che diparte dalla Libia e attraversa il braccio di Mediterraneo centrale, verso Lampedusa. Lungo quest’asse, i nostri servizi esercitano un’attenta e ben oliata funzione di monitoraggio che non ha, finora, evidenziato infiltrazioni terroristiche. Preoccupa di più, invece, il nuovo corridoio anatolico-balcanico che connette il teatro bellico siro-iracheno all’Europa, percorso sia per via terrestre risalendo Turchia, Grecia e Macedonia, sia per via marittima con destinazione le coste pugliesi, dove organizzazioni criminali di scafisti, in passato dedite al contrabbando, si sono convertite al lucroso business del traffico di esseri umani.  Lungo la rotta balcanica, tra le maglie sfilacciate di controlli inefficaci, transita in senso bidirezionale circa il 60% degli stimati 30.000 combattenti dell’integralismo islamico, provenienti da più di 100 nazioni. Di questi, oltre 900 volontari sarebbero originari del Kosovo, Macedonia, Bosnia Erzegovina e Albania, e circa 5.000 altri foreign fighters muoverebbero dall’Europa, intenzionati a raggiungere i presidi siriani e iracheni in mano al Califfato, per contribuire alla causa jihadista.

La minaccia – si afferma nella Relazione parlamentare – è rappresentata proprio dai returnees, soggetti nati o cresciuti o radicalizzatisi in Occidente e rientranti nei territori di residenza, e dai commuters (pendolari), che viaggiano avanti e indietro tra teatri di guerra e Paesi d’origine, sfruttando l’esperienza militare acquisita al fronte per esportare il terrorismo entro i confini dell’Unione.

I servizi segreti rilevano, inoltre, il numero crescente di donne, per la maggior parte giovani e di vario background sociale, che aderiscono allo Stato Islamico con la prospettiva di fungere da mogli e madri ai mujahidin e contribuire, in tal modo, al popolamento e all’allevamento di nuove generazioni di militanti. Il loro viaggio verso DAESH è finalizzato al ricongiungimento con il proprio coniuge, già sul fronte e probabilmente conosciuto via Internet tramite il jihad al nikah (matrimonio per il jihad). Non mancano casi di estremiste impegnate anche in attività on-line di proselitismo e reclutamento, o addirittura di supporto logistico e operativo. In tal senso, davanti al trend montante del jihad al femminile, sono importanti le attività di prevenzione e contrasto all’adescamento di ragazze in Rete ed il sostegno alle donne vittime del fondamentalismo islamico.

©Futuro Europa®

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