Due fatti, altrettanti limiti
Ritorno con piacere a scrivere per Futuro Europa, dopo un mese di interruzione in giro per il nostro continente, a cominciare da Bruxelles. I temi che si affollano all’attenzione sono tanti; scegliamo i due più recenti.
Non ho potuto vedere il programma di Santoro dedicato a Michelle Bonev, ma me ne sono fatto un’idea leggendo gli estratti che la stampa quotidiana, con pruriginoso diletto, non ci ha risparmiati. Andiamo per ordine: la libertà d’informazione è uno dei principali pilastri della libertà in assoluto e della democrazia e ciò vale anche per il servizio pubblico, a cui non possono essere imposte censure artificiali. In un paese che si vuole civile, ci sono però limiti veri e chiari, che un buon giornalista sa riconoscere e rispettare: imparzialità nell’informazione e decenza, specie per quanto attiene a vicende private. Modelli del giusto equilibrio tra libertà e completezza d’informazione da un lato e imparzialità e decenza dall’altro, esistono, a cominciare dalla BBC o da giornali come il Times, il New York Times e Le Monde. Va da sé che essi impegnano in modo speciale la RAI, organo che appartiene a tutti gli italiani e il cui livello è, a mio giudizio e per mia esperienza, in generale elevato.
Spiace perciò constatare che un professionista della traiettoria di Santoro abbia ampiamente varcato quei limiti dando spazio, voce e rilievo alle supposte “confessioni” di una signora (si fa per dire) che ha sciorinato in pubblico squallide vicende private, proprie e altrui, arricchendo di dettagli scabrosi fatti che ci avevano a suo tempo debitamente disgustati e su cui speravamo scendesse un pietoso oblio; anche perché il loro protagonista ha già pesantemente pagato, o sta pagando, certi suoi comportamenti. Continuare a rimestarvi, tentando di risollevare – per pervicacia ideologica o a fini di “ascolto” – scandali ormai superati non serve a nulla e certamente non al nostro Paese e alla sua immagine. Sono perciò d’accordo col giovane Ministro Lupi che ha parlato di “giornalismo da buco della serratura”.
Quanto alla Bonev, c’è poco da dire: è uno dei tanti personaggi spuntati in questi ultimi anni attorno al Cavaliere e ad altri uomini di potere, pronti a qualsiasi cosa (inclusa la pubblica esibizione dei propri costumi sessuali) per un po’ di pubblicità e di denaro, o altri vantaggi. Lei stessa lo ha ammesso, quando ha dichiarato di aver rotto il silenzio di tanti anni rispetto alle vicende narrate perché da quattro anni “non riceveva più niente”. Elevarne le parole a fatto politico nazionale spande perciò un odore decisamente malsano.
Passiamo da tutt’altra parte: Mario Monti ha lasciato la presidenza del partito da lui fondato. Come ho scritto in tante altre occasioni, da quasi vent’anni (dai tempi di Bruxelles) ne ammiro il rigore, la sincerità e le grandi capacità tecniche e ritengo che abbia fatto il miglior governo possibile nelle circostanze date, salvandoci dalla bancarotta. E ritenevo che fosse una vera, grande risorsa per il Paese, anche per i ruoli più alti, finché fosse rimasto fedele alla sua figura di persona al di sopra delle parti. Con il suo ultimo gesto, egli ha confermato la propria coerenza; ma ha anche dimostrato di non essere quel “politico” che a un certo punto ha voluto diventare.
C’è da sperare che le sue dimissioni non contribuiscano a polverizzare il centro, ma ne favoriscano invece la convergenza in quel movimento che ha come asse i Popolari e che ha dato, nel suo Convegno il 17 scorso, prove di grande vitalità e può rappresentare il necessario elemento di equilibrio per la disastrata politica italiana.
Frattanto, confesso che, con tutta l’amicizia e la stima che mantengo per Monti, l’intervista che ha rilasciato al Corriere della Sera mi è piaciuta solo a metà. Giusto aver esposto le ragioni di fondo della sua decisione, ma al suo posto avrei evitato le frecciate a Casini e Mauro e altri “politici di lungo corso” che pure sono quelli che gli avevano consentito di porsi alla testa di una forza politica non indifferente. Più lievi ma poco generose le critiche mosse a Letta: Monti dovrebbe sapere quali siano in Italia le difficoltà per tenere insieme una coalizione di governo e conciliare gli opposti interessi corporativi e di parte, e dovrebbe comprendere che la prima condizione per un governo di coalizione che speri di realizzare una parte almeno delle cose necessarie è restare vivo e quindi mantenere un certo equilibrio tra le forze che lo sostengono: mantenere tale equilibrio, come suggerisce lui, scontentando equamente e di volta in volta la destra e la sinistra, mi pare magari bello teoricamente, ma politicamente suicida. Come lui stesso ha sperimentato.
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