Libia, Renzi smentisce la Pinotti
“L’Italia è pronta a guidare in Libia una coalizione di paesi dell’area, europei e dell’Africa del Nord, per fermare l’avanzata del Califfato che è arrivato a 350 chilometri dalle nostre coste”. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti intervistata dal Messaggero, a febbraio dello scorso anno, spiegava: “Se in Afghanistan abbiamo mandato fino a 5mila uomini, in un paese come la Libia che ci riguarda molto più da vicino e in cui il rischio di deterioramento è molto più preoccupante per l’Italia, la nostra missione può essere significativa e impegnativa, anche numericamente”. Un anno fa, quindi, non un esponente a caso dell’esecutivo, bensì il ministro della Difesa, parlava dell’urgenza di “stabilizzare il territorio”. Una settimana fa il premier ha, di fatto, smentito il suo ministro: “Calma, ci vuole calma, la guerra non è un videogioco”.
Adesso, leggendo le dichiarazioni della Pinotti di un anno fa, e sentendo quelle di Renzi della scorsa settimana, è chiaro (anche a chi di politica estera non capisce assolutamente nulla) che qualcosa non torni. Intervistato da Barbara D’Urso, a Domenica Live, Matteo Renzi ha messo a tacere l’Ambasciatore americano a Roma, John R. Philips, togliendo l’Italia dal conflitto contro l’Isis: “Non è all’ordine del giorno la missione militare italiana – precisa il presidente del Consiglio – la prima cosa da fare è che ci sia un governo che sia solido, anzi strasolido, e abbia la possibilità di chiamare un intervento della comunità internazionale e non ci faccia rifare gli errori del passato”. La Libia in questi giorni è uno scenario caldissimo anche a causa dei nostri due connazionali uccisi nello stato africano. “Non è il tempo delle forzature, ma del buon senso e dell’equilibrio”, chiosa il premier.
I sondaggi parlano chiaro: gli italiani non vogliono i nostri soldati al fronte libico. Secondo l’ultima rilevazione di Ixè per Agorà (RaiTre), i no all’intervento sono l’81 per cento, a fronte di un misero 14 per cento degli interventisti, mentre gli indecisi sono il 5 per cento. Sottolinea il concetto anche Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa del Senato, renziano di ferro: “Non c’è impegno militare sia nell’immediato che in un secondo momento”. I motivi di questa forte prudenza, in questo momento, sono diversi. Come detto, la gente non vuole la guerra e un intervento con elmetto e scarponi significherebbe un calo di gradimento. Peccato capitale in vista della tornata di amministrative. E poi, non meno importante, c’è l’aspetto meramente diplomatico. La missione in Libia comporterebbe – inevitabilmente – delle vittime, per un risultato che rischierebbe di essere pressoché nullo.
Cosa farà, quindi, il governo? Per ora aspetta. D’altronde dalle parole del ministro Pinotti sull’urgenza di un intervento militare e sul numero esatto di soldati da impiegare, è passato solo un anno. Per Renzi, “serve grande senso di responsabilità come deve fare un grande Paese come l’Italia”. Sicuramente, magari anche una linea condivisa tra un premier e gli altri membri del suo Esecutivo.