Il populismo in America Latina

Il Brasile, gigante dell’America Latina e aspirante a collocarsi tra le prime economie mondiali, è in profonda crisi economica, morale e politica. Il crollo del PIL (che nel 2015 è sceso del 3,8%) è in parte dovuto a fattori esterni, in primo luogo al calo dei prezzi internazionali delle commodities, ma anche ai risultati di una gestione che, dopo i primi anni di quasi ortodossia da parte del Presidente Lula e del  suo PT (Partido de los Trabajador) è via via deviato, con la gestione di Dilma Roussef, in una conduzione sempre più velleitaria e sganciata dalla realtà sempre più “populista”.

Cos’è  il populismo, nella sua speciale accezione latinoamericana? È una condotta che volge le spalle alle realtà, spesso dure, dell’economia, che crea una prosperità fittizia e momentanea affidandosi a una forte spesa pubblica, prima o poi finanziata con emissione di moneta, e pretende di risolvere i problemi sociali (veri e diffusi, senza dubbio) non con un solido progredire del sistema produttivo e dell’occupazione  e con una più equa ridistribuzione della ricchezza, ma con la distribuzione a man salva di sussidi alle classi meno abbienti, creando tra l’altro una categoria sempre più numerosa di persone che dipendono per la loro sussistenza dal benvolere dello Stato, il che diventa facilmente benvolere del Governo e del leader di turno e che quindi sono pronte a seguirne ciecamente la guida. Il populismo si accompagna poi sempre, quasi invariabilmente, con alcuni tratti caratteristici: divisione del mondo in amici e nemici, intolleranza per la critica oppositrice, per la stampa libera e la giustizia indipendente, stravolgimento del normale funzionamento delle istituzioni e, in alcuni casi estremi, repressione violenta del dissenso politico. In America Latina, tratto comune è poi l’avversione al Grande Fratello statunitense, ma anche all’insieme dell’Occidente – Europa compresa – e la simpatia verso regimi come quello, ormai tramontato, di Ahmadinejad in Iran, Russia e Cina. Il fenomeno non è solo brasiliano. Ha le sue origini lontane nella Cuba castrista e quelle più vicine nel Venezuela chavista, ma ha poi toccato, in grado minore e con tutte le differenze del caso, Paesi come l’Argentina, l’Ecquador, il Nicaragua, la Bolivia e in parte lo stesso Brasile. Nel suo secondo mandato, la Presidente cilena Bachelet, che pur aveva amministrato il Paese con saggezza e successo, è parsa tentata da una deriva demagogica. Purtroppo, i cattivi risultati economici sono stati aggravati da uno scandalo che coinvolge il figlio della Bachelet, per prestiti di favore ricevuti da una grande banca.

I risultati sono, dovunque, negativi. Il Venezuela è in profonda crisi economica, con un’inflazione altissima e scarsità di beni di consumo. In Argentina, il neo-eletto Presidente Macri ha trovato un’economia ferma, una situazione finanziaria pesante e uno Stato occupato da migliaia di funzionari e impiegati di nomina politica che rispondevano solo al partito allora di governo.  Stanno anche venendo quotidianamente alla luce fatti di corruzione a molti livelli. Si tratta di cifre ingenti, come in  Brasile dove la Magistratura ha accertato un complesso sistema di tangenti a carico dell’Ente Nazionale del Petrolio, PETROBRAS, pagate a oltre 350 politici e funzionari, per lo più del partito di governo. Lo scandalo era già aperto da almeno due anni, ma è divenuto incandescente quando i giudici hanno direttamente accusato lo stesso ex-Presidente, Lula da Silva, di far parte del sistema, e uno o più “pentiti” hanno chiamato in causa la stessa Presidente Rousseff, se non altro, per aver saputo e coperto i fatti peggiori.

La crisi, da morale, è divenuta politica. L’opposizione reclama le dimissioni della Roussef e intanto pensa come mettere in marcia il suo impeachment. La sua popolarità è scesa al punto più basso (8%) e in questi giorni si sono svolte nelle principali città del Paese grandi manifestazioni contro di lei. È difficile dire come andrà a finire. Molto dipenderà dalla linea che seguirà il partito centrista che è fino ad ora alleato del PT nel governo. Se esso abbandonasse Dilma, la fine sarebbe probabilmente segnata. Una cosa è comunque certa: siamo vicini alla fine di un ciclo durato quindici anni in America Latina. I regimi più o meno di sinistra hanno fallito il loro compito in materia tanto economica quanto sociale, producendo alla fine povertà, ma hanno clamorosamente fallito anche sul piano che avrebbe dovuto essere per loro naturale: quello dell’etica.

L’autodifesa di questi regimi è quella ovvia. In una penosa conferenza stampa, invece di rispondere nel merito alle accuse che gli sono rivolte (sostanzialmente di aver ricevuto in regalo un lussuoso appartamento a San Paulo e di essersi fatto ristrutturare una casa di campagna, a spese di ditte costruttrici beneficiate dai contratti della PETROBRAS), Lula ha scelto la solita, comoda strada di accusare stampa e giudici politicizzati, complici di oscuri interessi imperialisti e reazionari. Un quotidiano di Buenos Aires noto per la sua supina faziosità, ha scritto senza vergognarsi che tutto quanto viene attribuito a Maduro, Lula, Evo Morales, Bachelet figlio e a tanti ex membri  del Governo Kirchner, rappresenta né più né meno che la manifestazione di una cospirazione internazionale mossa dagli Stati Uniti contro i regimi socialisti in America Latina. Va da sé che il solo modo di far giustizia di queste sciocchezze è che la Magistratura indaghi con rapidità, serietà e imparzialità, e siano i processi a dimostrare il vero e il falso.

Qualcuno ha scritto di recente una cosa che mi sembra molto vera: la corruzione è purtroppo un fatto universale, non è di destra o di sinistra, non risparmia nessuno (lo sappiamo bene noi italiani!). Ma quando è “di sinistra” è più grave perché non solo ruba i soldi di tutti, ma ruba anche la speranza che le cose possano essere diverse.

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