Cuba, l’inno americano al Palacio de la Revolución
Il significativo passo dello scorso anno verso la distensione tra Washington e L’Avana, in cui le parti concordavano la riapertura – dopo mezzo secolo di gelo assoluto – dell’ambasciata statunitense nell’isola, ha dato i suoi frutti: Barack Obama è il primo presidente americano a tornare in visita ufficiale a Cuba, dopo Calvin Coolidge, ottantotto anni orsono. Ad accogliere Obama all’aeroporto della capitale, subito dopo l’atterraggio dell’Air Force One, il ministro degli Esteri Bruno Eduardo Rodriguez Parrilla e altri dignitari cubani; una “falla protocollare” che avrebbe fatto imbufalire Donald Trump, tempestivo, in patria, nel consegnare ai social lo sdegno per l’assenza del presidente Raul Castro. Non se ne cruccia più di tanto l’inquilino della Casa Bianca che, con famiglia al seguito, ha subito raggiunto l’Hotel Melia per un incontro con i funzionari del corpo diplomatico Usa a Cuba, ringraziandoli del prezioso lavoro svolto per il riavvicinamento fra i due popoli.
La cerimonia di ricevimento di Obama da parte del leader cubano è, invece, effettivamente iniziata al Palazzo della Rivoluzione sulle note di The Star-Spangled Banner, inno nazionale americano, e con una storica e calorosa stretta di mano, cui ha fatto seguito un confronto bilaterale franco e cordiale, misura del reale intento di inaugurare un nuovo corso nelle relazioni fra i due Paesi.
Castro, intervenuto per primo, pur non omettendo l’esistenza di profonde differenze tra Stati Uniti e Cuba, difficili da eliminare senza rinnegare la propria storia, ha ammesso che i tempi sono cambiati e maturi per ricucire i rapporti definitivamente interrotti dopo l’episodio della Baia dei Porci. Ancora friabile resta il terreno sul rispetto dei diritti umani: sembra che, in concomitanza con l’arrivo del presidente americano, siano stati arrestati in modo particolarmente violento oltre 50 dissidenti e attivisti anti-Castristi, ma tant’è, Roma non è stata fatta in due giorni. Sul tema, nella successiva conferenza stampa, Castro ha rivendicato che, su 61 leggi internazionali sui diritti umani, Cuba ne osserva ben 47.
Dal canto suo, Obama ha ringraziato l’omologo cubano per l’accoglienza e ha avuto parole di lode per il fondamentale e paziente lavoro di mediazione svolto da Papa Francesco e dal cardinale arcivescovo de L’Avana, Jaime Ortega. Non ha, inoltre, mancato di sottolineare il crescente sostegno, in seno al Congresso americano, alla revoca dell’embargo, una questione cruciale per Castro, intenzionato a svincolare finalmente il Paese da un lungo e logorante isolamento economico. “Il provvedimento” ha aggiunto Obama “non ha giovato né ai nostri interessi, né a quelli del popolo cubano”. Il presidente americano non ha indicato una data certa per l’abolizione della sanzione, ha espresso comunque il pieno convincimento che ciò accadrà. Fra le richieste che la Casa Bianca dovrà esaminare in un prossimo futuro, c’è anche la restituzione dell’enclave statunitense di Guantanamo, piccola porzione di territorio cubano sotto il controllo di Washington, sede del discusso campo di prigionia per terroristi. Obama ha auspicato e offerto aiuto per un diffuso accesso a internet dei cubani, irrinunciabile fattore di crescita e sviluppo nella società del ventunesimo secolo e, nel rispetto del diritto di autodeterminazione del popolo caraibico sulla forma di governo e sul modello economico di cui intende dotarsi, ha invitato il Paese a esercitare la democrazia e a garantire la libertà d’espressione.
I due leader hanno concluso lo storico incontro, assistendo a una partita amichevole di baseball tra una selezione locale e i Tampa Bay Rays. Come sempre, lo sport è il miglior ambasciatore di pace.