Buon compleanno Gioacchino

Gioacchino Murat era nato in Francia il 24 marzo del 1767; salì al trono di Napoli nel 1808, durante il periodo cosiddetto del “decennio francese”, nominato da suo cognato Napoleone Bonaparte. Murat prese molto a cuore l’incarico e rivolgendosi ai suoi sudditi li rassicurò di volersi occupare solo dei loro interessi, della loro gloria e della loro prosperità.

Era robusto, belloccio, moro, di modi sbrigativi per nulla diplomatico e soprattutto intollerante alle imposizioni; si mise anche contro Napoleone e gli interessi della Francia, perché alcune volte gli ordini imperiali erano vessazioni ed imposizioni che risultavano di freno all’iniziativa ed alla vita di quel popolo. Per questo motivo preferì allontanarsi dalla sfera di comando del cognato pur di conservare la fiducia di quella gente e soprattutto il trono.

I napoletani gli vollero bene; lui si diede veramente da fare per riorganizzare il Regno ed elevare nella dignità quel popolo tenendo come obiettivi i principi di libertà, di nazionalità e di progresso. Abolì la feudalità, riordinò il sistema tributario e giudiziario, sopprimendo i Tribunali Straordinari e l’apparato amministrativo e introdusse il Codice napoleonico. Avviò, con le poche risorse a disposizione, piani urbanistici e stradali. Divise il territorio in Province, Distretti, Circondari ed in Comuni. Istituì la Corte dei Conti, il Consiglio di Stato, l’Ufficio delle Ipoteche e gli Uffici del Registro. A Napoli ed a Torre del Greco, poi, fece sviluppare le fabbriche di armi e potenziò e perfezionò la Scuola Militare della Nunziatella di Napoli.

Era un uomo con un ottimo passato da soldato; era stato nominato generale di divisione da Napoleone, aveva sposato sua sorella Carolina e poi in seguito nominato governatore di Parigi, maresciallo di Francia e principe dell’Impero. Nel 1808, dopo aver costretto Carlo IV di Borbone alla resa di Baiona, accettò il trono di Napoli; non era quello a cui lui aspirava, molto più attratto dal regno di Spagna. Curò quindi la riorganizzazione dell’esercito, la promulgazione del Codice napoleonico, l’incremento di lavori pubblici che favorirono la media borghesia.

Dopo aver partecipato alla campagna di Russia come comandante generale della cavalleria, abbandonò improvvisamente la Grande Armata in ritirata per tentare di salvare il suo Regno. C’era una volontà forte di ristabilire il potere dei Borbone; Murat cercò di sollevare l’indipendenza degli Italiani: pubblicò il proclama di Rimini del 30 marzo 1815 e dichiarò guerra all’Austria, come nelle migliori storie di guerra presenti e passate, una volta alleati e poi nemici. Sconfitto a Tolentino 2 maggio 1815, dovette sottoscrivere il Trattato di Costanza e  abbandonare Napoli. Si rifugiò in Provenza, cercando invano di riaccostarsi a Bonaparte.

Passò poi in Corsica e, raccolti alcuni seguaci, sbarcò a Pizzo di Calabria per tentare la riconquista del regno di Napoli, da poco restituito a Ferdinando IV. Fu catturato, subito processato, condannato a morte e giustiziato. La storia rivoleva i Borbone e lui era di troppo. Prima di morire scrisse alla moglie Carolina una lettera che cominciava con questa parole: Cara Carolina del mio cuore, l’ora fatale è arrivata, morirò con l’ultimo dei supplizi, fra un’ora tu non avrai più marito e i nostri figli non avranno più padre. Ricordatevi di me e tenetemi sempre nella vostra memoria. Muoio innocente.

Era finito il suo tempo, conclusa la sua parabola. Fu fucilato. Ora, ma non si è certi che sia davvero lì, riposa nella Chiesa di San Giorgio a Pizzo Calabro, sotto una scritta che dice “Qui è sepolto Re Gioacchino Murat”. Il  poeta George Byron aveva così commentato, commosso, la scomparsa di un tale magnifico cavaliere: Povero, caro Murat, che brutta fine! Sono certo che le sue piume bianche fossero un punto di riferimento in battaglia, come quelle di Enrico IV.

Ma la Storia è fatta di lame più che di piume.

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