Brexit spaventa Confindustria britannica
La Brexit, ovvero l’uscita della Gran Bretagna dalla UE, porterebbe a perdite nel Regno Unito pari a 100 miliardi di sterline e alla scomparsa di un milione di posti lavoro. Questi sono i dati forniti dallo studio della PricewaterhouseCoopers alla Confindustria britannica (CBI – Confederation of British Industry), che ha commissionato l’analisi, in vista del Referendum del 23 giugno che hanno messo in allarme l’economia inglese e non solo.
Il calo del Pil britannico sarebbe del 5%, entro il 2020 (per un importo equivalente a 100 miliardi di sterline) e l’impatto sui bilanci familiari porterebbero ad una perdita fino a 3700 sterline l’anno, con rischi occupazionali diretti per 950.000 lavoratori. Il Rapporto sarebbe contestato dagli euroscettici come allarmistico e recante con se il vizio d’origine delle tendenze europeiste dei vertici di Confindustria britannica, ma i costi, dell’uscita dall’Unione, che questo comporta, messi in luce dallo Studio sono dati inequivocabili che i media hanno messo in luce.
Queste sono le proiezioni peggiori previste dallo “Scenario WTO” del Rapporto per il quale sarebbe prevista l’adozione delle regole della “World Trade Organization” in caso di negoziazioni successive all’uscita dalla UE. Migliore la situazione nel caso che si verificasse lo “Scenario FTA”, ovvero l’attuazione di un accordo di libero scambio “free trade agrement” tra Regno Unito ed Unione Europea. In questo caso il calo del Pil sarebbe pari a circa 55 miliardi di sterline per circa il 3%.
Gli impatti maggiori nel breve termine arriverebbero dall’incertezza del “dopo voto”, secondo il Rapporto, mentre entro il 2030 questa fase di incertezza dovrebbe essere superata. Nel 2030 il Pil sarebbe dell’1,2% nello Scenari FTO e del 3,5% in quello WTO, indubbiamente più basso dell’eventualità in cui la Gran Bretagna restasse nell’Unione. Per quanto concerne le ripercussioni sull’occupazione nel breve termine ci sarebbe un’evoluzione in peggio della situazione per l’1,7% nel caso di “FTA” e del 2% in quella di “WTO”.
I dati forniti dallo Studio si sono mostrati allineati con quelli forniti dagli analisti di JPMorgan, Citi, BlackRock e del Centre for Economic Performance della London School of Economics che unanimemente hanno previsto gravi danni potenziali per l’economia britannica.
Sono queste considerazioni e motivazioni più strettamente tecniche, ma non c’è dubbio che, al di là di ciò, un’eventuale uscita del Regno Unito dalla UE indebolirebbe il ruolo dell’Europa in Occidente, già messo a dura prova dalle conseguenze della crisi economica e dall’emergenza rifugiati. “Sgancerebbe la quinta più grande economia del mondo dal suo principale mercato e il Paese che più spende in bilancio militare dai suoi alleati. Saremmo tutti più poveri, disuniti e meno sicuri”. Senza Londra, la nuova Europa che si verrebbe a creare, avrebbe più difficoltà a stringere accordi commerciali con gli USA, sarebbe più vulnerabile nei rapporti con la Germania e avrebbe più difficoltà nell’imporre sanzioni alla Russia.
In caso di Brexit le conseguenze commerciali sarebbero immediate. Destinando all’Europa quasi la metà del suo export, mentre importa merci per meno del 10% è evidente cosa accadrebbe per la Gran Bretagna. Senza contare il “fattore emulazione” che porterebbe a comportarsi come la Gran Bretagna Paesi quali la Scozia e l’Irlanda che potrebbero “sganciarsi dal Regno Unito”, comportando per “Londra costi che andrebbero ben oltre il conto economico”. “Lasciare la UE vuol dire avere un’economia di dimensioni ridotte anche nel 2030 – dichiara Carolyn Fairbairn, direttrice generale della CBI, in un discorso alla London Business School – l’economia risponderebbe lentamente nel tempo, ma non si tornerebbe mai più ai livelli che avrebbe potuto raggiungere”.