Petrolio, non è solo un “caso Guidi”
Gli Italiani se lo chiedevano da tempo: se il petrolio è ai minimi, e le royalties che può riscuoterne il Governo pure, e per di più si rischia su paesaggio e qualità dell’ambiente in cambio di pochi, improbabili e temporanei posti di lavoro, che vantaggio ci sarà mai nel nostro Paese per giustificare lo sconquasso dovuto a pozzi e trivelle? I risultati delle due inchieste congiunte della Polizia e dei Carabinieri coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Potenza sullo smaltimento illecito di rifiuti nel centro oli di Viggiano (Potenza), nonché su casi di corruzione per la costruzione del centro oli della Total a Corleto Perticara (Potenza), e che hanno portato a sei arresti e sessanta persone indagate, potrebbero offrire una risposta a questo interrogativo. Che ha toccato un membro del Governo, ma investe tutto l’esecutivo, che infatti è oggetto di due mozioni di sfiducia: che hanno un senso, eccome. Vediamo perché.
Il fatto è che Renzi ha scaricato la Guidi per una telefonata ‘inopportuna’; non per gli illeciti oggetto delle indagini. Anzi, il premier ha difeso il sito petrolifero di Tempa Rossa. Il ministro Boschi, chiamato in causa per la firma sull’emendamento a favore del compagno della Guidi, si è giustificato parlando di ‘firma dovuta’; che però sembra smentito da quel “se Maria Elena è d’accordo”, pronunciato dalla Guidi al telefono; e anche dal fatto che l’emendamento in questione è passato alle 4 del mattino. Per non parlare del suo contenuto, che il 18 dicembre 2014, nel momento di discutere gli emendamenti, il senatore del M5S Andrea Cioffi descrisse fra quelli ‘che hanno nome e cognome’. Tutto questo dimostra che le attenzioni per il greggio italiano non rappresentano semplicemente un ‘caso Guidi’, come è stato frettolosamente catalogato da alcuni media. Ecco perché una mozione di sfiducia nei confronti del Governo ha senso, molto senso.
C’è una successione di eventi, un filo rosso, che ha cominciato ad essere tessuto con i Governi non eletti ed ha creato la situazione all’interno della quale si sono verificati gli illeciti sui quali Carabinieri e Polizia e Direzione distrettuale antimafia di Potenza hanno dovuto aprire le inchieste. Non si può non ricordare il decreto Sblocca Italia, che ha ristretto agli uffici del Governo le decisioni sui nuovi pozzi petroliferi; ma ancor prima il Decreto Sviluppo, che nel 2012 aveva reso possibile la realizzazione di impianti anche entro le dodici miglia dalla costa; atto davvero improvvido, ‘tamponato’ dal blocco a 27 trivelle ‘in spiaggia’, arrivato come una foglia di fico a poche settimane dal referendum. Non si può non notare, come ha notato Legambiente, l’atteggiamento del Ministro dell’Ambiente Galletti sui referendum. Non si può sottacere la determinazione con la quale i ministri del Governo Renzi, ereditando carte e uffici impostati dagli altri due Governi non eletti, hanno portato avanti una politica petrolifera mai avviata prima da nessun altro Governo ed estranea agli interessi del Paese. Una determinazione talmente evidente da aver portato quello presente ad autorappresentarsi nei confronti degli Italiani come il Governo delle Trivelle. Anche se non solo delle Trivelle: la vicenda viaggia infatti a braccetto con lo scandalo delle banche e con pacchetti azionari vari. Questioni che avrebbero abbattuto da tempo altri Governi, ma sulle quali questo Governo si è arroccato con determinazione mai vista prima.
Insomma, nello scandalo-petrolio c’è qualcosa che va oltre la telefonata ‘inopportuna’ della Guidi al suo compagno. Che va oltre un presunto ‘caso Guidi’. Ecco perché una mozione di sfiducia che riguardi il Governo intero ha un senso: non solo perché un suo membro è stato pescato con le mani nel sacco. E allora una sfiducia ha senso, eccome. Del resto, la prima ‘sfiducia’ sul new deal petrolifero dei governi non eletti l’hanno già votata, è un fatto, alcune compagnie straniere, che evidentemente avevano capito che il ‘new deal’ petrolifero italiano non prometteva business vero e proprio, ma era una nave destinata ad affondare. Prima a lasciare, la società Petroceltic, che agli inizi di febbraio aveva comunicato al MISE della Guidi la sua rinuncia al sua permesso di ricerca a largo delle Tremiti, in Adriatico; poi la Shell, che a fine febbraio ha comunicato la sua rinuncia a due istanze per la ricerca di idrocarburi nel Golfo di Taranto. Se Renzi ed il suo Governo respingono la sfiducia politica oltreché morale e difendono ancora il progetto-petrolio, non è per una presunta qualità del progetto, Shell e Petroceltic insegnano, ovvero per una sua reale economicità: ma solo perché si trincerano dietro quella sorta di ‘immunità strategica’ che deriva dalle operazioni militari in Libia, in funzione delle quali la ‘base Italia’ non può perdere la sua torre di controllo. Insomma, per motivi estranei al merito, ad ogni tipo di merito, della vicenda. Mentre la Guidi veniva presa col dito nel petrolio, Renzi ha lanciato un messaggio di sua fiducia nelle Rinnovabili inaugurandone un impianto realizzato con tecnologia e tecnici italiani: peccato fosse in Nevada e non a casa nostra. Dagli Usa, alla faccia di invidiosi e detrattori, il sorriso di Matteo è sembrato, al solito, solare.
[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]