Libia, è Sarraj il leader della ricostruzione?

Ha l’appoggio della comunità internazionale e dell’Onu. E’ sbarcato dalla Tunisia a Tripoli a bordo di una motovedetta militare, insieme a uno staff di sette dei diciotto ministri e viceministri designati a sostenerlo, perché su un volo aereo avrebbe rischiato di attirare le bocche da fuoco dell’artiglieria islamista. Nella madrepatria, non è nemmeno stato accolto molto bene: qualche sparo per strada, scaramucce varie, anche se di poco conto, e la scelta di alloggiare nella base navale di Abu Sittah, nella capitale, protetta dalla Marina libica, oggi sede del Governo provvisorio, dove convoca riunioni e incontri e organizza la strategia per guadagnare il consenso territoriale che porterà – si spera – alla normalizzazione del Paese.

Fayez al Sarraj è l’uomo che ha preso l’impegno con la Libia, sé stesso e l’Occidente democratico di guidare un esecutivo d’unità nazionale; è la calce che deve tenere insieme mattoni diversi e pieni di asperità, e comincia il suo lavoro dalla Tripolitania, feudo di Khalifa Ghwell, premier del governo islamista tripolino non riconosciuto dagli interlocutori internazionali, pronto a una rivolta armata piuttosto che cedere il passo. Sarraj conta sul supporto di 60 milizie di Misurata, ma ancora non ha la legittimità del Parlamento. La sua convinzione in una transizione incruenta nella regione e in gesti di responsabilità, da parte dell’avversario, sembra, comunque, iniziare a dargli ragione: nell’arco di una settimana dal suo arrivo, Ghwell si è mostrato molto più disponibile e, conscio dell’insufficiente approvazione che lo sorregge, ha – di fatto – sancito la fine dell’attività del suo Parlamento, accettando di passare dal ruolo di ribelle e contendente al potere a quello di legittimo e pacifico oppositore.

Sarraj incassa anche la fiducia del governatore della Banca Centrale e di Abdulmagid Breish, Presidente della Lia (Lybian Investment Authority), il fondo sovrano libico istituito ai tempi del colonnello Gheddafi che gestisce investimenti per un ammontare stimato in circa 70 miliardi di dollari. Successi preziosi, considerata l’indispensabilità dei soldi in ogni ricostruzione, che iniziano a cambiare la fisionomia della capitale, oggi molto più sicura, sebbene immersa nel caos del fiume di persone che, per via della tuttora scarsa circolazione monetaria, è in cerca di banche aperte dove ritirare Dinari. La Turchia si sta adoperando, inoltre, per spegnere un ultimo fuoco, quello alimentato dalla violenta fatwa del Gran Muftì di Tripoli, Sadiq al Ghariani, sostenitore del filo-islamista Ghwell, contro il nuovo governo di Sarraj.

Nel frattempo, a dar manforte al Consiglio presidenziale di Sarraj nella tessitura del nuovo Stato libico, giunge in visita nella capitale l’ex diplomatico tedesco Martin Kobler, inviato delle Nazioni Unite; nella sua agenda, dopo Tripoli, è previsto il trasferimento prima a Misurata e poi a Tobruk, ove ha sede l’altro governo ribelle presieduto da Abdullah al Thinni e protetto militarmente dal generale Khalifa Belqasim Haftar, ex fedelissimo di Gheddafi e attuale ministro della Difesa della Cirenaica, armato dall’Egitto di Al Sisi.

La missione di Kobler è stata pianificata a Tripoli dal suo consigliere militare, il generale italiano Paolo Serra, già al comando di Unifil in Libano, contingente Onu frapposto tra Hezbollah e Israele. Il lavoro di ricucire strappi e formare nuove e stabili alleanze, preliminare alla definitiva ricomposizione unitaria della frammentazione che ha gettato nel caos il Paese, consentirà una lotta congiunta per la riconquista della città di Sirte e del tratto di linea costiera sede d’importanti terminal petroliferi, oggi in mano alle milizie jihadiste dell’Isis, attive in quell’area dal 2014, con un numero di combattenti, di cui la maggior parte di provenienza siriana, che varia tra le 3.000 e le 10.000 unità.

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