Sicurezza aeroporti, il punto del Comitato UE
La scorsa settimana si è tenuta a Bruxelles una riunione del Comitato europeo per la Sicurezza Aerea, per far luce sulle attuali condizioni di sicurezza degli aeroporti in Europa in seguito ai terribili attentati all’aeroporto di Zaventem del 22 marzo. Già da mesi si discute sull’adozione di sistemi di controllo più serrati sui passeggeri di voli internazionali, in particolare tramite la proposta di attivare il PNR (Passenger Name Record), un database che permetterebbe di monitorare in dettaglio tutti i dati personali di chi si imbarca. Non essendo ancora giunti tuttavia a un accordo finale, i vertici europei sono stati costretti, potremmo sottolineare per l’ennesima volta, a correre ai ripari dopo che un’altra scia di sangue ha colpito poveri cittadini senza alcuna colpa.
Le trattative della riunione hanno posto l’accento sull’importanza di aggiungere un sistema di controllo molto più rigido e organizzato in diversi livelli, sulla base di quello che viene considerato come lo scalo internazionale più sicuro al mondo: l’aeroporto “Ben Gurion” di Tel Aviv, in Israele. Qui infatti le verifiche non riguardano semplicemente i passeggeri che si imbarcano su un volo, ma chiunque entri nei locali dell’aeroporto, grazie ai metal detector all’ingresso e a un sofisticato processo di ispezione in cinque fasi. Al terzo livello ad esempio, prima del check-in, i passeggeri devono sottoporsi a un vero e proprio “interrogatorio” in cui vengono controllati la destinazione, eventuali timbri di paesi a rischio sul passaporto, oltre al tono delle risposte per analizzare stress o comportamenti sospetti.
Nel caso degli attacchi a Zaventem, un sistema di sicurezza del genere avrebbe probabilmente evitato che uomini dotati di esplosivi potessero confondersi tra le persone in partenza per attuare il loro piano di morte. Le fonti UE dichiarano che “il rischio zero non esiste”, anche perché l’applicazione del sistema israeliano potrebbe causare altre conseguenze negative: tra queste, innanzitutto i costi di installazione dei metal detector, pari almeno al 10% in più; i tempi di attesa per questo primo controllo verrebbero estesi, con la necessità di giungere sul posto almeno tre ore prima del volo; e poi l’inevitabile creazione di lunghe code all’esterno degli edifici, un’altra situazione ideale per i terroristi che vogliano introdursi nella folla per far brillare gli esplosivi. C’è da dire tuttavia che, al costo di procedure più lunghe e complesse, la società civile sarebbe disposta a cambiare approccio in cambio di una vera sicurezza garantita.
Durante il meeting, il Comitato UE ha sottolineato il fatto che in Europa sono attualmente le autorità nazionali ad avere responsabilità per i controlli di sicurezza all’ingresso degli aeroporti. Questo aspetto potrebbe rappresentare un ostacolo al raggiungimento di migliori standard condivisi, perché probabilmente si giungerà a “raccomandazioni non vincolanti” dove a decidere saranno i singoli aeroporti. Considerata tale situazione, secondo il comitato è essenziale compiere una «valutazione dei rischi locali, in modo da perseguire un approccio proporzionato, efficace e basato sui rischi di una potenziale minaccia».
L’Europa sembra dunque, ancora una volta, rallentata nelle decisioni dal conflitto di competenze territoriali: anche davanti alla minaccia del terrorismo, i vertici dell’Unione europea faticano a prendere una posizione comune contro lo spettro di possibili altri attentati nella prossima “destinazione” scelta dai jihadisti. E in Italia? Considerando che il nostro Paese viene considerato come tra i principali a rischio, sarebbe il caso di utilizzare al meglio queste “raccomandazioni” e agire presto per il bene dei nostri cittadini e di tutti coloro che vengono a visitarci da tutto il mondo.