Lo chiamavano Jeeg Robot (Film, 2015)
Mi sono fatto sessanta chilometri per vedere questo grande film italiano che rinverdisce i fasti del cinema di genere degli anni Settanta, ma devo dire che n’è valsa la pena. Programmato in sessanta sale, costretto da una politica cinematografica autolesionista al ruolo di prodotto poco visibile, a vantaggio di commedie insulse e pellicole d’importazione. Perché robaccia come Deadpool riempie le sale di teenager e Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti diventa cinema di nicchia, addirittura per palati fini? Misteri della vita, misteri di questi nostri anni senza cultura.
In breve la trama. Enzo Ceccotti (Santamaria) è un disadattato di periferia, vive a Tor Bella Monaca, sbarca il lunario con piccoli furti, si ciba di yogurt e consuma in triste solitudine film porno in quantità. Un giorno, mentre tenta di sfuggire alla polizia, si tuffa nel Tevere e cade in un barile pieno di materiale radioattivo. Il nostro eroe è sconvolto dopo l’incidente, soffre e vomita per tutta la notte, ma al risveglio comprende di aver acquisito una forza sovrumana che utilizza per compiere furti spettacolari. Nel frattempo Roma è sconvolta da attentati criminali, è in corso una vera e propria guerra tra bande mafiose autoctone e d’importazione per il predominio sulla capitale. Lo zingaro (Marinelli) è un sanguinario delinquente locale che sogna un grande futuro ma finisce per pestare i piedi a gente più forte di lui. Enzo si prende cura di Alessia (Pastorelli), una ragazza con problemi psichici, figlia di un amico morto durante un lavoro finito male, e se ne innamora. Alessia è appassionata dei cartoni animati di Jeeg Robot e quando scopre i poteri di Enzo gli cuce una maschera che ricorda le fattezze del supereroe nipponico.
Non aggiungo altro, perché il film vive di una sceneggiatura intensa e ricca di suspense di Guaglianone e Menotti – tratta da un soggetto originale dello stesso Nicola Guaglianone – che tiene in tensione sino alle straordinarie sequenze finali. Le sedici nomination ai David di Donatello sono più che meritate, così come lo sono quelle dedicate a Non essere cattivo del grande Caligari. Tutto è ben fatto in Jeeg Robot, dalla musica intensa – scritta dal regista e Michele Braga – arricchita da brani anni Ottanta (Anna Oxa, Nada, Gianna Nannini), alla fotografia cupa e notturna, passando per la caratterizzazione psicologica dei personaggi. Il protagonista è ispirato a Spider Man (il materiale radioattivo, il tram fermato con le mani, i superproblemi…), ma è italiano fino in fondo con quel suo agire da eroe marginale, da ragazzone poco cresciuto che deve gestire incredibili poteri. Lo zingaro è un cattivo da manuale, fumettistico ma non troppo, psicopatico e crudele come un personaggio di Quentin Tarantino. La ragazzina problematica è una persona vera, lontana mille miglia dai cliché, una presenza importante nell’economia della storia, decisiva per la scelta di operare per il bene dell’umanità compiuta dal protagonista. Claudio Santamaria (ingrassa venti chili per essere in parte), Luca Marinelli (folle e allucinato come in Non essere cattivo) e Ilenia Pastorelli (dolce e sognatrice, pavida e innamorata) sono volti perfetti per i ruoli, ben calati nelle rispettive interpretazioni.
Lo chiamavano Jeeg Robot è contaminazione dei generi allo stato puro, quasi terrorismo come ai tempi dei film di Joe D’Amato e Lucio Fulci. Cinema di supereroi, ma anche cinema noir, ispirato al poliziottesco anni Settanta, sentori di Fernando di Leo (la trilogia della mala), Enzo G. Castellari, Umberto Lenzi, per tutte le sequenze acrobatiche e a base di inseguimenti. Effetti speciali poco computerizzati e molto artigianali, alcuni davvero ben fatti, persino la lotta tra supereroe e supercriminale è lontana anni luce dal clima di tante pellicole fracassone nordamericane. Il cinema di Pier Paolo Pasolini e di Claudio Caligari escono fuori con prepotenza dall’ambientazione marginale e borgatara, dai molti poetici piani sequenza e dal tono nero e malinconico di tutta la storia.
Gabriele Mainetti (1976) è molto più che una speranza del nostro cinema, già attore di buona qualità e regista di un paio di cortometraggi molto apprezzati (Basette, Tiger Boy), gira una storia originale con tecnica sopraffina e mano ferma. Godiamoci questo ritorno del grande cinema di genere italiano – non televisivo come Suburra ma cinematografico come Non essere cattivo – evitiamo di serializzarlo e di farlo sciupare dagli americani. Mainetti ha le doti per fare da solo e per continuare sulla strada intrapresa.
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Regia: Gabriele Mainetti. Soggetto e Sceneggiatura: Nicola Guaglianone, Menotti. Fotografia: Michele D’Attanasio. Montaggio: Andrea Maguolo. Effetti Speciali: Chromatica. Musiche: Gabriele Mainetti, Michele Braga. Scenografia: Massimiliano Sturiale. Costumi: Mary Montalto. Trucco: Giulio Pezza. Produttore Esecutivo: Jacopo Saraceni. Produzione: Goon Films, Rai Cinema. Distribuzione: Lucky Red. Genere. Noir/Azione/Fantastico. Durata: 112’. Interpreti: Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Ilenia Pastorelli, Stefano Ambrogi, Maurizio Tesei, Francesco Formichetti, Daniela Trombetti, Antonia Truppo, Gianluca Di Gennaro, Salvatore Esposito.
[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]