Referendum, un SÌ per dire No alle trivelle
C’è chi, in piena Trivellopoli, invita a non votare per sabotare la consultazione popolare. Chi al contrario voterà, e voterà SI, lo farà per ‘sentimento popolare’: perché il quesito referendario, decisamente astruso, nasconde una scelta importante, a vantaggio di pochi, o a favore del bene comune.
Il quesito referendario chiede di cancellare la proroga, introdotta dal decreto Stabilità 2016 del Governo Renzi, che prevede di estendere l’attività delle piattaforme collocate entro 12 miglia dalla costa dalla scadenza delle concessioni fino all’esaurimento del deposito. Chi voterà NO, o non voterà, afferma che quasi tutte quelle ‘trivelle’ estraggono solo ‘ecologico’ gas. Chi voterà SI sa invece che quasi sempre, sotto al gas nei depositi c’è il petrolio: quindi che la proroga ad esaurimento del giacimento è pensata per estrarre quel petrolio, e che d’altronde il SI non impedirà di sfruttare ancora il gas fino alla scadenza di legge delle concessioni. Chi voterà NO o non voterà, dice che gas e petrolio italiani servono per il fabbisogno nazionale. Chi voterà SI si chiede perché gli Italiani dovrebbero ricomprare il gas ed il petrolio italiani dalle compagnie che lo estrarrebbero. Chi voterà NO o non voterà dice che verrebbero meno le royalties. Chi voterà SI sa che in Italia sono irrisorie, e che ben 26 piattaforme ne sono esentate perché erogano debolmente, rimanendo sotto il limite minimo per pagare le royalties. Chi voterà NO o non voterà dice che si compromette l’economia. Chi voterà SI, pure: solo che si compromette l’economia italiana, quella di turismo, ambiente e prodotti tipici. Chi voterà NO o non voterà afferma che l’opposizione alle Trivelle mette a rischio decine di migliaia di posti di lavoro. Chi voterà SI sa che, nell’era dell’automazione, sulle piattaforme il personale è oggi quasi del tutto sostituito dall’informatica, e che gli impianti ‘di appoggio’ a terra mandano a casa gli operai come sta avvenendo nelle raffinerie di Gela.
In un quadro nel quale le due indagini stanno svelando interessi privati su opere pubbliche, con il coinvolgimento di membri di un Governo che per giunta è pure ‘tecnico’, il tormentone del non eletto Renzi dell’aver ‘sbloccato le opere’ rivela un’audacia morale veramente straordinaria. E di fronte all’enormità dei fatti contestati dagli inquirenti, la presunta ‘congiura’ per colpire il Governo, Renzi o chissà chi da parte di una Giustizia che avrebbe dovuto fare anticamera, fa sorridere. Ma quella di Renzi al Paese è una sfida anche intellettuale: perché, infatti, le ‘opere’ di cui parla sarebbero rimaste ‘bloccate’ fino ad oggi? Davvero solo per il potere di interdizione di ambientalisti e interessi locali? Davvero il punto è che una politica energetica nazionale, se pure ci fosse ma non c’è, deve essere al di sopra degli interessi locali? Ma alla luce della Costituzione, questo interesse come fa ad imporlo, su assemblee regionali elette, un Governo non eletto? Come fa un Governo Tecnico a fare rivoluzioni, definite ‘riforme’, se per definizione ha per mandato l’ordinaria amministrazione? Come mai il famoso emendamento, che aveva incontrato opposizione nelle Commissioni anche da parte di membri della maggioranza, alla fine è passato alle 4 di notte? E come mai ha ‘sbloccato’ gli impianti delle Trivelle fino all’ultimo tubo e cavo elettrico, e non gli impianti delle Energie Rinnovabili? Come fa il Governo a favorire gli idrocarburi e snobbare le Rinnovabili senza giustificare la cosa con il previsto, e mai prodotto, Piano Energetico Nazionale? Come fanno i sostenitori delle Trivelle a dire che il petrolio è necessario a scooter e automobili, se proprio per le scelte sbagliate nel Paese non è messa in rete più energia da Rinnovabili con cui alimentare auto e motorini elettrici, e più treni e tram, come nella civile Europa? Come fanno a dire che il petrolio non inquina, se nella agreste Basilicata i medici di famiglia segnalano incidenza di patologie inquietanti e i magistrati stanno indagando su sversamenti di fanghi oleosi e inquinamenti in falda? Come fanno, se nel mondo le piattaforme sono spesso soggette ad incidenti? E come fanno a dire che è facile fare gli ambientalisti col petrolio degli altri, quando il petrolio è fuori questione visto che la comunità scientifica internazionale, il crollo del prezzo del petrolio, gli investimenti in Rinnovabili di USA, Cina, Giappone e Paesi Arabi e di decine di multinazionali stanno dimostrando che l’era del petrolio sta finendo?
Ma va ricordato anche che “sappiamo che la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas – deve essere sostituita progressivamente e senza indugio”, come si legge al punto 165 dell’enciclica Laudato si’, di Papa Francesco, resa pubblica lo scorso 18 giugno 2015. Negli stessi giorni, i ministri dell’Ambiente e dei Beni culturali del Governo Renzi hanno firmato dieci decreti che formalizzano la chiusura con esito positivo di altrettante procedure di Valutazione di impatto ambientale, in pratica l’ok definitivo, per dieci nuovi pozzi petroliferi nel mare Adriatico.
Sullo sfondo, intorno e dentro l’astruso quesito referendario del 17 aprile c’è dunque un’enorme questione di carattere economico, politico, morale e culturale e non solo il destino di alcune piattaforme. Del resto, in ogni ragionamento ragionevole le analisi ed i distinguo portano ad una sintesi, ad una conclusione, per non restare semplici cavilli. Quella che il referendum affronta è una straordinaria decisione che riguarda tutti: perché con l’astensione, col NO o con il SI gli Italiani avranno l’unica occasione per dire cosa pensano su una questione, che non può essere affare di pochi ma riguarda il bene comune. Tutti i cittadini italiani sono interessati, non solo le popolazioni del Sud o quelle dell’Adriatico, perché le mappe delle concessioni di sfruttamento dei giacimenti mostrano coinvolte tutte le Regioni tranne Val d’Aosta e Alto Adige, quindi anche quelle del Nord, anche quelle del Tirreno. Il 17 aprile, tutti gli Italiani sono chiamati ad una consultazione sul destino del Paese.
[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]