India: Modi e il Medio Oriente, non solo affari

Otto mesi dopo la sua visita negli Emirati Arabi, il Primo Ministro indiano Narendra Modi si è recato in Arabia Saudita. Questa visita non è di pura cortesia, né prettamente mirata agli affari. Per l’India, il Medio Oriente è diventato una vera scommessa strategica.

Le motivazioni a questa visita non mancano certamente: l’Arabia Saudita è il maggiore fornitore di petrolio dell’India, quasi 2,8 milioni di indiani vivono nel regno e l’India, in cerca di investitori stranieri per alimentare i suoi progetti di rilancio delle sue imprese non avrebbe potuto bussare a porta più giusta, nonostante le difficoltà attuali dell’Arabia Saudita nella gestione del suo bilancio. Inoltre, i dirigenti indiani e sauditi non hanno mai mancato di scambiati visite ufficiali, anche se a volte con intervalli di tempo molto lunghi. Dal suo arrivo al potere nel Maggio del 2014, Narendra Modi ha cercato di dare un’impronta completamente diversa alla politica estera dell’India. Non propriamente una rimessa in causa della diplomazia seguita fino a quel momento, ma piuttosto una sua razionalizzazione, una riorganizzazione delle priorità e degli orientamenti. Per quanto riguarda il Medio Oriente, gli osservatori si aspettavano di vedere Modi dedicare la sua prima visita ufficiale nella Regione a Israele. Andò ad Abu Dhabi e Dubai. La visita in Israele era prevista  per la fine del 2015. Ufficialmente, la Ministra degli Affari Esteri Sushma Swaraj lo scorso Gennaio è stata a Gerusalemme e Ramallah per mettere le basi di quella famosa visita, guardandosi bene però dall’esprimere qualsiasi parola che avrebbe potuto essere mal interpretata. Oggi si dice che Benyamin  Netanyahu potrebbe andare a New Delhi prima che Modi si rechi in Israele, ma queste visite rimangono a un vago “si dice che”. Unico dato concreto la visita di Modi in Arabia Saudita, la seconda in terra mediorientale come capo di Governo indiano.

Modi ha la fama di non amare molto i musulmani per via dell’ideologia del Partito nazionalista indù (Partito del Popoli Indiano, BJP) che rappresenta, ma soprattutto a causa degli scontri avvenuti a Gujarat nel 2002 tra indù e musulmani che dirigeva all’epoca e durante i quali morirono più di 2000 persone, principalmente musulmani. Per questo la sua vittoria elettorale è stata accolta tiepidamente dai leader arabi, soprattutto sauditi. Ma dopo la morte di Re Abdallah nel Gennaio del 2015, fu lo stesso Modi a dichiarare una giornata di lutto nazionale. Nel frattempo, i due uomini che si erano incontrai alla fine del 2014 in margine del G20 di Brisbane avevano cominciato a conoscersi meglio, e soprattutto a capire quanto potessero essere utili l’uno per l’altro. In poche parole, l’interesse strategico aveva preso il sopravvento sull’ideologia. Le relazioni tra i due Paesi vantano radici lontane e profonde, non sempre lineari ma sicuramente ben radicate.

Nel Gennaio del 2006 però c’è stata una svolta che ha trasformato questi rapporti da “normali” a qualcosa di più, quando il Re Abdallah partecipò come inviato d’onore alla parata militare della “giornata della Repubblica”.  Il regno wahabita era già cosciente che il suo futuro si stava scrivendo sempre più a Est. All’epoca, il petrolio e il gas di scisto americani non permettevano ancora agli Stati Uniti di fare a meno dell’oro nero saudita, ma l’Arabia Saudita cercava clienti a lungo termine per i suoi idrocarburi. L’India e la Cina rispondevano perfettamente a questa visione: due Paesi il cui sviluppo economico era impressionante, la cui popolazione gigantesca e per conseguenza dalle richieste energetiche in continua salita. Piccolo dettaglio non di poca importanza: a differenza degli USA, India e Cina non perdono tempo a parlare di Diritti Umani con i loro partner economici. Due partner stabili e affidabili, interessanti per Ryad che non cerca alcunché di sostituire gli Stati Uniti come protettori del Regno. Qualche che sia lo stato delle relazioni tra i due Paesi (oggi non proprio al loro massimo), queste hanno superato decenni di prove tanto che nessuno crede seriamente ad una verosimile rottura. Guarda caso né l’India, né la Cina aspirano a sostituire gli Stati Uniti nel Golfo. Il disegno saudita sembra non fare una piega.

Tornando a Modi, oltre alle imprescindibili motivazioni  delle quali abbiamo parlato (petrolio, investimenti, comunità indiana dell’Arabia Saudita), il Primo Ministro indiano e i suoi ospiti sauditi hanno anche affrontato temi politici. Due soggetti sono particolarmente delicati: il Pakistan e l’Iran. In un’intervista dello scorso 10 Marzo pubblicata dal Times of India, il Ministro degli Affari Esteri saudita, Abel al-Jubeir ha insistito sul fatto che “le reazioni (dell’Arabia Saudita) con il Pakistan non andrebbero a detrimento delle (sue) relazioni con l’India”. Il non detto, ma caldamente suggerito, è che reciprocamente, il rafforzamento delle relazioni dell’Arabia Saudita con l’India non si sarebbe tradotto da una presa di distanza nei confronti di un Paese definito nella stessa intervista come “alleato storico che resterà tale”. L’importanza del Pakistan per l’Arabia Saudita viene dimostrata dalle due visite dello scorso Gennaio a Islamabad, molto ravvicinate e quasi precipitose, di al-Jubeir e del Ministro della Difesa e vice principe ereditario, Mohammed Ben Salam. Le visite avvenivano poche settimane dopo il rifiuto del Pakistan di partecipare alla “coalizione anti terrorismo”. Malgrado la malcelata irritazione, il Regno non vuole assolutamente che il Pakistan prenda le distanze, anche se ha già rifiutato ben due volte l’invito di Riyad: nell’Aprile del 2015, quando si è rifiutato di mandare le sue truppe in Yemen,  e come grande assente della coalizione delle 34 Nazioni musulmane guidata dall’Arabia Saudita.

Questa è stata un’opportunità per il Primo Ministro indiano che a Riyad ha appena firmato con il Re Salamane un memorandum d’intesa tra i due Paesi per la cooperazione nell’antiterrorismo e la cyber sicurezza. Otto mesi fa ad Abu Dhabi la pubblicazione del comunicato che denunciava gli Stati che si servivano della religione per patrocinare il terrorismo mirava palesemente il Pakistan, a Riyad le parole sono state più misurate, ma Modi si è aggiudicato un importante posto sulla scena mediorientale.  Ricordiamo che la cooperazione tra i due Paesi non è una novità, ha permesso l’estradizione verso l’India di diversi sospetti, tra i quali Abou Jandal, un indiano legato agli attacchi del Novembre del 2008 a Bombay e Assadullah Khan (conosciuto anche come Abu Sufyan), militante del Lashkar-e-Taiba (organizzazione clandestina di musulmani del Cachemir nata nel 1987, vicina ad Al Qaeda e appoggiata dai Servizi pachistani), espulso lo scorso Dicembre dall’Arabia dopo uno scambio di notizie tra i Servizi di India e Arabia Saudita. Altro nodo delle relazioni saudite-indiane è l’Iran, Paese con il quale New Delhi ha ottimi rapporti e interessi strategici non indifferenti. Ma sembra che per ora i sauditi non intendano mettere l’India in condizione di fare scelte scomode.

Definito filoisraeliano e antimusulmano, Narendra Modi  sta dando prova di grandi doti diplomatiche e di un pragmatismo del quale pochi credevano fosse capace  appoggiando innanzitutto i più tradizionali Paesi musulmani conservatori della Penisola Arabica per far avanzare le sue pedine e cercando di accattivarsi anche l’Occidente. Ma questo è un altro capitolo.

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