Italia e Medio Oriente, il caso Regeni
Per la sua collocazione geografica e i suoi interessi economici, ma anche per una storia che risale all’Impero Romano (che, ricordiamolo, copriva tutta la sponda sud del Mediterraneo e il Medio Oriente fino all’Eufrate), l’Italia ha con il mondo arabo-musulmano rapporti speciali. Un po’ in ritardo sul tempo delle grandi conquiste coloniali, andammo a prenderci la Libia (quando nelle canzoni Tripoli era “il bel suol d’amore”), un Paese allora povero (il petrolio è stato trovato solo alla fine degli anni Trenta) e, nei momenti più intensi della politica estera fascista, reclamammo la Tunisia. Mezzo secolo prima, in virtú della politica delle “Mani nette”, avevamo respinto l’offerta inglese di una sorta di condominio sull’Egitto. Dopo la Prima Guerra Mondiale, rimanemmo fuori della grande spartizione delle colonie ottomane, in cui la Francia e soprattutto l’Inghilterra fecero la parte del leone, e questo (assieme al diniego di darci Fiume) motivò le fiere quanto inutili proteste del Governo di allora e dette origine alla psicosi della “vittoria tradita” che a sua volta contribuì al sorgere del Fascismo. Quest’ultimo, in funzione anti-francese e soprattutto anti-inglese, intrattenne rapporti di stretta amicizia con il mondo arabo-musulmano. Ricordiamo le relazioni col Gran Muftì di Gerusalemme e Mussolini “Spada dell’Islam”. Nel dopoguerra, dovemmo abbandonare i sogni coloniali, perdemmo la Libia come le altre colonie (solo la Somalia ci fu affidata dall’ONU in Amministrazione Fiduciaria per la durata di dieci anni, e parve una vittoria morale importante).
Ma i governi repubblicani, soprattutto ad opera di Fanfani e Moro, ripresero presto a tessere rapporti con quel mondo: rapporti economici ma indirettamente anche politici. Per vari anni, fu l’ENI guidata da Enrico Mattei a fare da punta di lancia della nostra politica in quell’area, con iniziative che favorivano i nostri interlocutori a danno delle tradizionali grandi compagnie (le famose “Sette sorelle”). In un accordo con l’Iran rompemmo la regola del “fifty-fifty” nella distribuzione degli utili petroliferi . Durante la guerra di Algeria, aiutavamo sottobanco i membri del FLN (lo ricordo bene, ero a quel tempo un giovanissimo funzionario alla Segreteria Generale del Ministero degli Esteri e molte cose succedevano sotto i miei occhi). Ma nessun nostro Governo recente, da Berlusconi a Prodi, ha mai trascurato quel mondo. In questo contesto vanno viste le “relazioni speciali” con Gheddafi, la partecipazione alla successive Forze Multinazionali in Libano, la partecipazione postguerra alle forze occidentali in Irak e in Afghanistan. Il Governo Renzi mostra di seguire attivamente questa linea. Ciò si manifesta con l’assistenza alle FFAA irachene e ai peshmerga curdi, con l’attività diplomatica per la Libia e, dopo lo sblocco delle sanzioni all’Iran, con le aperture verso quel Paese. Non è certo casuale che la prima capitale occidentale visitata dal Presidente Rohani sia stata Roma e la prima visita di un leader occidentale a Teheran sia stata quella di Renzi. Con, a quanto sembra, ottime ricadute economiche.
Fin qui, nulla da eccepire. Ma c’è un “punctum dolens”: l’Egitto. Si tratta di un Paese con il quale, dal momento della sua indipendenza, abbiamo sempre coltivato stretti rapporti, e con ragione. L’Egitto è l’elemento centrale per la stabilità del Mediterraneo meridionale, del Maghreb e del Medio Oriente. Se salta l’Egitto, tutto il resto è in pericolo e le conseguenze sulla nostra sicurezza si fanno gravi. Lo avevano capito Craxi e poi Berlusconi (che coltivavano rapporti intensi con Mubarak) e per i primi due anni di governo ha mostrato di averlo inteso anche Renzi, i cui rapporti con quelle Autorità sono stati vistosamente cordiali. Poi è scoppiata la tragedia della morte di Giulio Regeni e tutto è stato rimesso in forse.
Vorrei essere chiaro: la barbara uccisione del nostro giovane compatriota è un crimine barbaro e inescusabile. Ci sono forti dubbi che vi siano coinvolti servizi di sicurezza egiziani. Abbiamo il diritto di cercare la verità, pur sapendo che essa resterà probabilmente elusiva. Il Governo ha il dovere di mostrarsi fermo ed esigente nei confronti del Cairo. Ma nel valutare le misure da prendere, ha il dovere di considerare che una rottura insanabile nuocerebbe pericolosamente alla stabilità e alla sicurezza di un’area di nostro diretto e vitale interesse. I rapporti tra Paesi di reciproca rilevanza sono qualcosa di troppo serio per condurli a furia di colpi di testa. Si proiettano al di là delle contingenze e dei regimi che passano. Nei tempi necessariamente lunghi della vita dei popoli, che non si misura in settimane o mesi, ma in decenni e in secoli.