Camera di Consiglio
[Ndr – Inizia oggi una nuova Rubrica dedicata ogni settimana ad una recente sentenza che possa rivestire interesse di carattere generale non esclusivamente sotto l’aspetto giuridico. Il tema di questa settimana è d’attualità anche alla luce delle nuove tecnologie ormai capillarmente diffuse]
Può un coniuge “spiare” la corrispondenza dell’altro? Può essere utilizzata detta corrispondenza come prova di un eventuale adulterio? E quali sono le regole per la posta elettronica ed i social network?
Accade spesso, quando la coppia è in crisi e ci si appresta ad una separazione, che i coniugi facciano i detective “ fai da te” e si diano particolarmente da fare per acquisire notizie sull’altra parte spiando la posta, i cellulari ed i computer. Questo fenomeno è particolarmente diffuso e comporta qualche rischio, anche se spesso è l’unico sistema per reperire prove anche importanti dal punto di vista processuale.
L’occasione per trattare dell’argomento è data da una recente sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, la quale ha dovuto risolvere il problema della utilizzabilità delle fotografie e delle informazioni pubblicate sul profilo personale del social network “Facebook” di uno dei coniugi.
Ma partiamo dai principi generali. La corrispondenza privata riceve tutela penale dall’art. 616 c.p., che sanziona chiunque prenda cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, o che sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne prendere ad altri cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta a lui non diretta, ovvero la distrugge o sopprime. La pena è più grave se il colpevole, senza giusta causa, rivela il contenuto della corrispondenza stessa.
Pertanto, la legge tutela la segretezza della posta a noi diretta in maniera assolutamente decisa ed inequivocabile, segretezza che sussiste sempre indipendentemente dal contenuto della singola comunicazione. Identica tutela ha, naturalmente, tutta la corrispondenza anche in forme diverse da quella tradizionale, quindi i fax, gli sms, le email ed i messaggi scambiati utilizzando i servizio di messaggistica (o di chat) fornito dai social network.
Tale tutela sussiste anche rispetto al coniuge, il quale ha diritto che l’altro non si intrometta nella propria privacy e, soprattutto, non “spii” la propria corrispondenza. Certo il reato non sussiste in caso di consenso espresso o tacito dell’avente diritto, ed è proprio quest’ultima tipologia di consenso che costituisce l’aspetto più delicato in ambito familiare. Infatti è estremamente opinabile in moltissimi casi lo stabilire se sussisteva o meno il consenso tacito dell’altro coniuge, una risposta positiva o negativa dipende molto dal caso concreto e dalle modalità di accesso ai computer di casa, ad esempio.
Comunque – chiarito che, in senso generale, nessuno, neanche il coniuge, può violare la corrispondenza dell’avente diritto – veniamo al caso specifico affrontato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Il Giudice ha, a nostro avviso correttamente, stabilito che “le fotografie e le informazioni pubblicate sul profilo personale del social network Facebook sono utilizzabili come prove documentali nei giudizi di separazione. Infatti, a differenza delle informazioni contenute nei messaggi scambiati utilizzando il servizio di messaggistica (o di chat) fornito dal social network, che vanno assimilate a forme di corrispondenza privata, e come tali devono ricevere la massima tutela sotto il profilo della loro divulgazione, quelle pubblicate sul proprio profilo personale, proprio in quanto già dì per sé destinate ad essere conosciute da soggetti terzi, sebbene rientranti nell’ambito della cerchia delle c.d. “amicizie” del social network, non possono ritenersi assistite da tale protezione, dovendo, al contrario, essere considerate alla stregua di informazioni conoscibili da terzi”.
Pertanto legittimo e lecito è l’utilizzo di quanto pubblicato su Facebook, contrariamente alla messaggistica che rientra nella tutela generale della corrispondenza.
In merito, quindi ad email, sms ed altri messaggi, la loro lettura senza il consenso dell’altro coniuge costituisce reato. Sul punto si è anche pronunciato il Tribunale di Treviso che ha comunque condannato il marito che aveva appreso alcune email della moglie scambiante con l’amante, al fine di dimostrare l’adulterio. A nulla è valsa la giustificazione che il computer di casa fosse stato lasciato senza alcun particolare sistema di protezione.
Ma, è possibile comunque utilizzare il materiale illegittimamente appreso, sia pur con comportamento che, come abbiamo visto, costituisce reato? La risposta comunemente data è affermativa, a condizione che la produzione della corrispondenza e dei messaggi sia l’unico strumento possibile nel caso concreto per provare, ad esempio, l’infedeltà coniugale e/o comunque fatti comportanti l’addebito della separazione. Ferma restando la rilevanza penale delle modalità di apprensione delle prove.
In altre parole, l’ipotetico marito tradito (o moglie tradita) può utilizzare efficacemente nel giudizio civile per separazione la documentazione appresa illegittimamente ma, con tutta probabilità, si prenderà una condanna in sede penale.
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