Hubris renziana e futilità delle opposizioni

Con l’ennesimo voto di sfiducia al Governo, perduto in partenza ma finito peggio del previsto, con 183 voti contro e 96 a favore per quello grillino, 180 contro e 93 a favore per quello della destra, i partiti di opposizione hanno fornito un ennesimo esempio di gratuita futilità. Sono riusciti solo a far perdere tempo al Senato e rafforzare Renzi che, dopo l’indiscutibile vittoria nel referendum sulle trivelle,  può vantarsi di continuare a disporre in Parlamento di una maggioranza quale nessun governo prima del suo ha avuto. Una maggioranza, al Senato, abbastanza raccogliticcia, per cui vale soprattutto lo spavento di elezioni anticipate, ma maggioranza comunque, e inusitatamente ampia. Perché tanta inutile e alla fine autodistruttiva pervicacia? Viene da pensare che gli uni e gli altri diano colpi di spada nell’acqua per riafferrare una popolarità che sfugge loro. È vero per i 5 Stelle, ma è vero soprattutto per un Berlusconi in evidente affanno, che non riesce a tenere in linea i suoi alleati e neppure il suo stesso partito; nel quale, nella vicenda romana, esistono almeno tre linee: una a favore di Bertolaso, l’altra a favore della Meloni, una terza a favore di Alfio Marchini. Lontani, lontanissimi, i tempi in cui l’ex-Cavaliere dettava legge, e tutti zitti e allineati!

E tra parentesi, che ignobile spettacolo gli insulti a Giorgio Napolitano da parte dell’ineffabile Gasparri e di un senatore grillino che ha avuto la maleducazione di riferirsi all’età, a suo dire “centenaria” dell’ex-Presidente (niente di nuovo, certa gente l’aveva fatto anche con Rita Levi Montalcini, onore della scienza italiana). Certa gente, prima di insultare un personaggio della statura di Giorgio Napolitano e chiedergli di andarsene, farebbe bene a sciacquarsi la bocca. Ma la volgarità e la villania, riprodotte e diffuse da una stampa superficiale e sensazionalista, non hanno limiti, in questa triste fase del dibattito politico.

La partita, ovviamente non è chiusa, solo rimandata. E qui entra in ballo la “hubris” renziana, quel tanto di sicumera che è impossibile non attribuirgli. Il premier, che aveva conquistato Palazzo Chigi con una manovra di Palazzo, deve ogni giorno cercare conferma alla sua legittimità, non costituzionale (che è intera) ma politica. L’ha conquistata con le europee dello scorso anno, le opposizioni gliel’hanno servita su un piatto d’argento con il referendum del 17 aprile e con la sfiducia respinta. Rischia di perderne qualche pezzo con le amministrative di giugno e per questo si è affrettato a chiarire che il voto sarà locale e non “politico”. Ma se la gioca tutta, e a mio avviso inutilmente, col referendum di ottobre che, inevitabilmente, sarà visto come un plebiscito pro o contro di lui. Se lo vincesse, sarebbe inamovibile fino al 2018. Altrimenti, come lui stesso ha più volte detto, dovrà lasciare.

Perché ho detto “inutilmente”? Perché Renzi avrebbe disinnescato la bomba e probabilmente blindato il risultato se avesse, a un certo punto del dibattito, accettato alcune modifiche, soprattutto l’elezione diretta dei  senatori, che sarebbe misura elementare di democrazia. Ormai è tardi per farlo, ma è un peccato! Come diversamente si presenterebbe all’opinione pubblica la scelta referenderaria se non si potesse accusare il testo governativo di antidemocratico (il che, tra parentesi, è abbastanza discutibile). Ma Renzi, com’è nel suo carattere, ha scelto di giocare di azzardo, il che va bene per un privato, non per uno statista a cui deve stare soprattutto a cuore la stabilità del Paese e delle sue istituzioni.

Che accadrà in ottobre? Credo sia difficile fare previsioni. Molto dipenderà dallo stato generale del Paese e della sua economia, dalla percezione immateriale di soddisfazione o di scontento della gente. Ma parecchio dipenderà dalla capacità del Governo di spiegare compiutamente le ragioni della riforma e difenderla con argomenti validi, non “ad hominem”. E, specularmente, delle opposizione di usare argomenti seri, non vocianti accuse di colpo di Stato.

Quello che però a me, sommessamente, pare prematuro è fregarsi le mani in anticipo prevedendo la fine di Renzi. Si può, anzi si deve, essere critici di buona parte del suo operato, ma occorre chiedersi: cosa viene dopo di lui? Francamente, non vedo vere maggioranze alternative, né una classe dirigente già coesa e matura in grado di prendere in mano la situazione. Certo, è possibile qualche riedizione dell’esperienza Letta, ma la via d’uscita più probabile, presto o tardi, restano le elezioni anticipate, fatte, come sempre, nel peggiore dei momenti e per la peggiore delle ragioni. Chi le vincerebbe? Di nuovo il PD, con o senza Renzi (mi pare difficile pensare che, lasciato Palazzo Chigi, abbandoni anche la guida del suo partito)? O magari (Dio ce ne scampi!) l’armata Brancaleone di Beppe Grillo? Credere che possa imporsi una estesa e compatta alleanza moderata, nella situazione presente del centro-destra, mi pare abbastanza illusorio. E chi la guiderebbe? Berlusconi è ormai la maschera di sé stesso. Davvero si può pensare che possa tornare a essere la speranza e la guida d’Italia? E allora chi? Il “traditore” Alfano? L’impresentabile Salvini?  Raffaelino Fitto? Di fronte a questa gente persino Renzi rischia di apparire un gigante.

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