Politica energetica nazionale, quale?
La corsa al petrolio del Governo Renzi non è spuntata dal nulla: è, al contrario, l’esecuzione di un’idea che ha una storia lunga, molto più lunga di quella del governo in carica. Un’idea che viene da lontano, ma che è riuscita a prendere corpo in una strategia vera e propria solo con la fine dei governi eletti: la ‘Strategia Energetica Nazionale’ o SEN, varata dal governo Monti nell’ottobre 2012 e tutt’ora di riferimento. Già nel capitolo 3, dedicato alle priorità di sviluppo, la SEN recita infatti che “l’Italia è altamente dipendente dall’importazione di combustibili fossili; allo stesso tempo, dispone di ingenti riserve di gas e petrolio. In questo contesto, è doveroso fare leva (anche) su queste risorse, dati i benefici in termini occupazionali e di crescita economica, in un settore in cui l’Italia vanta notevoli competenze riconosciute”. Nello stesso anno, il Decreto Sviluppo aveva cancellato il limite geopolitico delle dodici miglia dalla costa per le piattaforme. Poi venne lo Sblocca Italia a mettere la ciliegina sulla torta. Già all’epoca del varo però la SEN fu salutata come un ‘colpo di mano’ dagli ambientalisti per motivi di metodo e di merito: per il metodo, in quanto illegittima, non potendo essere varata da un governo tecnico trattandosi di un piano di lunga durata e straordinaria importanza; e per il merito, perché, parole a parte, di fatto nel documento si riservava uno spazio notevole alle fonti di energia fossile.
Nei commenti delle associazioni ambientaliste, la SEN promuove le fonti fossili, anche se, a parole, dà grande spazio alle Rinnovabili: un po’ come, viene da aggiungere, ha fatto Renzi nella lunga dichiarazione che ha voluto recitare alla stampa alla fine del referendum sulle trivelle, irrituale e per di più espressa con un piglio ed un linguaggio estranei alla cultura del Paese. Già perché, nei documenti ‘strategici’ come nelle dichiarazioni, l’Energia parla un linguaggio internazionale, che si pone al disopra degli interessi nazionali e che in Paesi come l’Italia viene meglio recepito ed interpretato dai governi non eletti. Per chi se lo ricorda, sulla stessa falsariga della reale promozione delle energie fossili accompagnata da quella formale delle rinnovabili era stato scritto, ad esempio, il documento finale del G7 Energia che si tenne nel Roma nel maggio 2014, in piena crisi ucraina, documento letto ai giornalisti alla fine dell’incontro dall’allora Ministro dello Sviluppo economico italiano Federica Guidi. Con un certo piglio anche allora. Ebbene, già nel 2012, la SEN aveva ipotecato lo sviluppo del settore Energia fino al 2020: con finalità e obiettivi chiari fin da allora, lontani dall’idea di un Paese Rinnovabile e rigidi e monodirezionali come i binari di una ferrovia. La curiosa determinazione di Renzi e dei suoi nel perseguire questi obiettivi, ed il terrore di mancarli per via di un esito positivo del referendum, terrore confermato dalla conferenza stampa-sfogo dopo l’esito negativo della consultazione, ha finito per rivelare la preoccupazione di ben eseguire una ‘strategia’, una sorta di piano di battaglia vissuto dai suoi esecutori come indiscutibile ed inderogabile.
Già all’epoca del varo della SEN, gli addetti ai lavori, fra i quali le associazioni di categoria delle Rinnovabili come Anie o Renael, avevano notato nella Strategia l’anacronistico raddoppio della produzione nazionale di idrocarburi e il solito scaricare sul ‘sistema’, che si sarebbe tradotto ‘in bolletta’, i costi delle fonti fossili e quelli degli incentivi alle rinnovabili. Le associazioni ambientaliste invece, Legambiente, WWF e Greenpeace in testa, avevano subito stigmatizzato lo sfruttamento delle risorse petrolifere del Paese per i rischi a carico del paesaggio e della salute pubblica, ma anche la porta aperta alle centrali a carbone. Le associazioni avevano anche evidenziato la contraddizione, nella SEN, tra gli ambiziosi obiettivi di sviluppo per le Rinnovabili e gli strumenti inadeguati per realizzarli. Ma, nonostante gli sforzi messi in campo, gli ambientalisti non sono riusciti a renderne la gravità al Paese: anche perché ostacolati dallo stereotipo di estremisti e di popolo del NO a tutto, alle ‘opere’, e alle ‘riforme’. Stereotipi consolidati nella pigra mentalità di un Paese seduto in poltrona, e grazie ai quali la brillante retorica del giovanile Renzi ha avuto quindi buon gioco.
A referendum celebrato e fallito, quel che rimane è l’immagine di un Paese etero-diretto col silenzio-assenso della maggioranza degli Italiani: maggioranza alla quale dà evidentemente consolazione che qualcun’altro si prenda la briga di stabilire e mettere in atto una Strategia Energetica Nazionale. Qualsiasi cosa ci sia scritta dentro.
[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]