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Chernobyl 30. Realacci: stop al nucleare ha salvato l’Enel futuro e’ innovazione, risparmio energetico, rinnovabili – Sono passiti 30 anni dal disastro nucleare di Chernobyl. “Saggiamente da allora l’Italia ha fermato il nucleare, il futuro dell’energia infatti non è nell’atomo ma nel risparmio energetico, nella ricerca, nell’innovazione, nelle fonti rinnovabili. Questo anniversario è un momento per ricordare le vittime, le persone che hanno sviluppato neoplasie in seguito all’incidente e quelle che ancora oggi vivono nelle zone contaminate. Il 26 aprile rappresenta inoltre uno spartiacque: quel giorno l’energia nucleare ha mostrato tutta la sua pericolosità per l’ambiente, la sicurezza e la salute dei cittadini. Una pericolositá purtroppo confermata nel 2011 dall’incidente di Fukushima che, oltre a morte e distruzione, ha paralizzato per mesi una delle economie piú importanti del pianeta come quella giapponese. Vanno ringraziati ancora una volta gli italiani, che con lungimiranza hanno fermato il ritorno del nucleare in Italia con il referendum del giugno 2011, che hanno evitato ancora una volta che il Paese prendesse una strada vecchia, sbagliata e antieconomica – come dimostrano i ritardi e i costi esorbitanti accumulati delle centrali nucleari in costruzione in Europa, da Flamanville a Olkiluoto”. Lo afferma Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente della Camera, a trent’anni dal disastro di Chernobyl “Anche l’Enel fortunatamente non zavorrata dal nucleare ha potuto scegliere il futuro, rinunciando al carbone a Porto Tolle, annunciando la chiusura di altre 22 centrali, le piú vecchie, piú costose e inquinanti e intraprendendo la strada del risparmio energetico, dell’innovazione, delle rinnovabili- spiega Realacci- se oggi fosse impegnata nella costruzione di nuove centrali nucleari nel Paese correrebbe il rischio di essere una bad company”. (Dire)

Nucleare: Anci, avviare piano dismissione vecchi impianti – “Cade oggi la triste ricorrenza del trentennale del disastro di Cernobyl, data che ha anche segnato la fine dell’esperienza italiana di produzione di energia da fonti nucleari. A trent’anni dallo stop delle centrali ancora non ha preso forma e non si hanno scadenze certe per un piano di dismissione dei vecchi impianti, un problema grave ancora aperto per il quale non si vedono prospettive e del quale soffrono in modo particolare i Comuni e i territori sede delle vecchie servitù nucleari”. Lo afferma il delegato Anci all’Ambiente, Bruno Valentini. “L’auspicio è che si possa accelerare con l’iter di dismissione dei vecchi impianti e pervenire in tempi certi alla realizzazione del deposito nazionale, come ci chiede anche l’Europa. Sarebbe anche utile una riflessione complessiva sulla strategia energetica nazionale, dato che il nostro Paese ha ormai consolidato una posizione di avanguardia nella produzione di energia da fonte rinnovabile compiendo passi da gigante negli ultimi anni. E’ questo il momento di porci nuovi obiettivi per un piano energetico nazionale orientato sempre piú alla sostenibilità in linea con gli obiettivi di riduzione delle emissioni che il mondo occidentale si è appena impegnato a raggiungere”, conclude la nota. (ANSA).

Clima: Ue rischia leadership, lontana ratifica accordo Usa, Cina e India entro 2016, i 28 aspettano target nazionali – L’Unione europea rischia di perdere la leadership sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici. Dopo la cerimonia ufficiale della firma di New York, l’obiettivo adesso è far entrare in vigore l’accordo globale di Parigi al più presto possibile, ma gli europei invece di assumere il consueto ruolo di apripista sono fermi, ancora in attesa della ‘distribuzione’ dei target nazionali di riduzione della CO2 del pacchetto legislativo per il 2030, promesso prima dell’estate. Lo sa bene il commissario europeo al Clima, Miguel Arias Canete, cosciente che il processo per assicurarsi il sostegno di 28 governi e 29 Parlamenti, inclusa l’Eurocamera, “prenderà del tempo”, ha detto alla cerimonia di New York. Il piano di Bruxelles è quello di presentare insieme sia la proposta di ratifica dell’accordo di Parigi sia gli obiettivi nazionali al 2030 di riduzione di CO2 per i settori non coperti dal mercato europeo delle emissioni (Ets), come agricoltura, trasporti e edilizia. Per entrare in vigore, l’intesa salva-clima ha bisogno della ratifica di 55 Paesi che coprano almeno il 55% delle emissioni globali. Uno scenario verosimile è che questo possa avvenire senza il blocco dei 28 Paesi, che oltre a perdere credibilità come leader, potrebbe rimanere tagliato fuori dalle prime decisioni chiave su regole e procedure. “Dopo Parigi tutto il mondo si sta muovendo tranne l’Ue”, spiega Bas Eickhout, vicepresidente del gruppo dei Verdi all’Europarlamento. Usa e Cina hanno già annunciato di voler ratificare l’accordo quest’anno, probabilmente intorno a settembre, in concomitanza con l’Assemblea generale dell’Onu. “Questi due Paesi insieme contano circa il 40% delle emissioni, che con l’India diventano il 45%” afferma Eickhout, secondo cui “se si dovesse aggiungere anche il Giappone, dietro pressione degli Usa, l’entrata in vigore nel 2016 o 2017 diventa probabile, senza l’Ue”. “Siamo 28 Paesi, è normale che il processo di ratifica sia più complesso e questa non è una gara, quello che conta è l’obiettivo, che si consegue insieme” afferma invece Giovanni La Via (Ap/Ppe), presidente della commissione ambiente dell’Europarlamento. Tutti d’accordo invece sul fatto che la battaglia a livello diplomatico non si è esaurita con Parigi, ma prosegue per affrontare la riduzione delle emissioni nei settori dei trasporti aerei e marittimi, lasciati fuori dall’accordo Onu. Una strada in salita, visto che l’Organizzazione internazionale marittima e quella dell’aviazione civile (Imo e Icao) sono ancora lontane dal varare una misura globale taglia-CO2. “Per adesso la direzione giusta non è stata imboccata, ma dobbiamo lavorarci perché ci sia un percorso condiviso con dei risultati nei tempi più brevi possibili” afferma La Via. Molto piú duro Eickhout, secondo cui l’Ue, concentrata su altri dossier, su Icao e Imo non sta facendo grandi pressioni, “dimenticando di essere la maggiore potenza economica e il più grande mercato mondiale”. (ANSA)

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