Libia, soldati italiani a guardia dei pozzi?
Il governo di Fayez al Sarraj invoca l’aiuto dell’Occidente e si appella a Onu e Ue, per ricevere supporto armato a difesa dei terminal petroliferi minacciati dalle incursioni dei miliziani dell’Isis. Lo Stato Islamico, pochi giorni fa, ha attaccato i pozzi di Brega, nella parte orientale del Paese, e il premier libico, impegnato duramente nel conseguimento dell’ufficiale legittimazione del suo esecutivo d’unità nazionale da parte di tutte le forze politiche e militari interne in gioco, teme assalti anche alle installazioni marittime.
La richiesta di Tripoli arriva direttamente sul tavolo del vertice informale del G5, a Hannover, in Bassa Sassonia, che vede riuniti Usa, Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia. Dal castello di Herrenhausen, il primo ministro Renzi rassicura Sarraj sull’unanime volontà della comunità internazionale di sostenere il consolidamento del suo governo, anche fornendo concreto appoggio militare. Ribadisce, tuttavia, l’imprescindibilità dell’osservanza delle procedure che regolano i rapporti fra Stati, l’unica maniera – sotto il profilo del diritto internazionale – di conferire lecito mandato a un intervento esterno nel Paese. Sarraj, dunque, deve prima formalizzare la sua istanza e, per poterlo fare, necessita del pieno riconoscimento in patria del suo Consiglio presidenziale. Il premier italiano, nel garantire collaborazione e aiuti ad ampio raggio per il futuro della Libia, ha precisato alla stampa che, nel caso specifico, l’appello riguarderebbe la protezione di siti petroliferi non appartenenti all’Eni.
A proposito della questione, sui media è rimbalzata la notizia dell’imminente invio di un contingente italiano di circa 900 soldati, cui ha fatto seguito – conformemente alle dichiarazioni rilasciate da Renzi – la decisa e sollecita smentita da parte di fonti governative e dello Stato Maggiore della Difesa. La visione generale delle cancellerie occidentali è di escludere missioni armate, anche quelle fatte in nome del mantenimento della pace e dell’ordine pubblico, e si attende, con grande trepidazione, il superamento del principale ostacolo al processo di stabilità politica e normalizzazione interna, ossia il consenso ufficiale della porzione di Libia convergente col Parlamento di Tobruk, in Cirenaica. Al predetto obiettivo si oppone con determinazione il generale Khalifa Haftar, a capo delle truppe che appoggiano Tobruk, il quale, forte del sostegno del regime egiziano di Al Sisi, è più che altro interessato a lanciare un’offensiva contro il centro nevralgico dell’Isis , a Sirte, per liberare la città, cacciare i jihadisti e riprendere il controllo sui giacimenti di petrolio nella regione. Sul fronte diplomatico, l’inviato speciale dell’Onu, Martin Kobler, sta esercitando costanti pressioni affinché Sarraj incassi la fiducia del Parlamento di Tobruk, consegnando finalmente al mondo un unico interlocutore istituzionale con la piena rappresentanza del Paese.
Nel frattempo, seppur non alla luce del sole, corpi militari d’élite statunitensi e francesi sono già operativi, insieme a milizie locali, sul fronte anti-Isis e presto, secondo indiscrezioni della stampa britannica, anche le forze speciali di Sua Maestà sarebbero pronte a sferrare, insieme agli alleati, l’attacco risolutivo per riconquistare Sirte.
Considerate le attività comunque condotte sotto traccia dai Paesi occidentali, a dispetto delle dichiarazioni ufficiali, e tenuto conto degli ingenti interessi economici che hanno da lungo tempo legato le storie di Libia e Italia, non è da escludersi un prossimo invio di soldati italiani, con la possibilità che sia affidata a Roma addirittura la guida complessiva delle operazioni, con necessità di dispiegamento di forze in campo assai maggiori rispetto a quelle schierate dagli alleati.