Girone torna in Italia?
Volevo scrivere su tante cose che accadono nel mondo, dall’irresistibile avanzata di Donald Trump nelle primarie USA alle giravolte di Berlusconi. Ma tutto a suo tempo. Oggi, quello che mi colpisce è la decisione del Tribunale del Mare che, accogliendo la richiesta italiana, ha deciso che il nostro fuciliere di Marina Salvatore Girone, trascorra in Italia il periodo (probabilmente lungo) in cui durerà l’arbitrato internazionale promosso dall’Italia.
Ne sono ovviamente lietissimo per Girone e per la sua famiglia (ricordiamo che l’altro Marò, Massimiliano Latorre, è già da tempo in Italia per motivi di salute). E un poco, immodestamente, perché sin dall’inizio avevo scritto che la dispiuta aveva carattere legale e andava affrontata su questo terreno. Era infatti chiarissimo che la questione chiave verteva sulla competenza a giudicare di un evento che, francamente, temo sia difficile da negare (l’ho scritto tempo fa, attirandomi qualche sgarbatezza). Erano, e sono in gioco, due principi contrari: quello della sovranità territoriale, che in mari internazionali segue la nazionalità della nave, quindi italiana; e quello che in molti codici penali (a cominciare dal nostro) permette di perseguire crimini commessi anche all’estero contro propri cittadini: quindi, competenza indiana. Non sono uno specialista di diritto internazionale, anche se l’ho studiato, ma onestamente ritengo che il primo dei due principi sia il più forte.
Era comunque chiaro, almeno per me e l’avevo scritto, che la cosa andasse affidata a un organismo internazionale, pur se questo comporta il rischio di perdere la causa. Siamo un Paese di diritto, anzi, “del diritto”, e – ho scritto anche questo, sempre attirandomi insulti – lo è anche l’India, in cui vige ancora la vecchia tradizione britannica. Di fronte ad una disputa di carattere legale, non si minacciano assurde ritorsioni . Vi ricordate quanti sprovveduti (compresi alcuni autorevoli giornalisti, per non parlare di politicanti da quattro soldi) hanno invocato dure misure diplomatiche, politiche, economiche, se non addirittura (nella fantasie più accese) militari?
È senza dubbio merito dei tre governi succedutisi dall’inizio della crisi non aver ascoltato queste voci dissennate. Ma va riconosciuto al Governo attuale l’intelligenza di imboccare la strada della giustizia internazionale. Si sarebbe dovuto fare molto prima e non so davvero perché Monti e Letta non ci abbiano pensato, preferendo la strada di un negoziato di cui non era difficile prevedere l’insuccesso, stante l’estrema sensibilità dell’opinione pubblica indiana sull’argomento e la prospettiva, allora, di elezioni politiche (e magari il negoziato avrebbe potuto essere affidato a qualcuno di più efficace dell’elegante Staffan de Mistura, che non mi pare si stia distinguendo in Siria). Ma alla fine si è fatto e i risultati, almeno in fase preliminare, sono buoni, anche se ora bisognerà discutere con l’India sulle modalità del rientro di Girone e non sarà cosa facile. Il cammino è ancora lunga, ma un primo passo, molto importante sul piano umano, è stato compiuto. E il premier ha ragione di esserne soddisfatto. Un motivo di meno per l’assalto che gli viene rivolto quotidianamente dall’estrema destra.