Il ciclone Trump
In Europa assistiamo con sconcerto all’irresistibile ascesa di Donald Trump nelle primarie del Partito Repubblicano. Il fenomeno ci stupisce, appare incomprensibile: ma come è possibile che tanta gente vada appresso a un tipo del genere, uno in cui tutto, a cominciare dal parrucchino, è falso, che ogni volta che apre la bocca le spara grosse? Uno che ha sul groppone non si sa quanti fallimenti fraudolenti? Un razzista che vuole alzare un muro tra USA e Messico? In realtà, noi italiani non dovremmmo troppo meravigliarci: abbiamo seguito per tanto tempo Berlusconi, che è un Trump un po’ più decente e diamo peso a un Salvini, a cui Trump piace tanto che si è affrettato a correre negli Stati Uniti per rendergli omaggio.
La realtà è che il fenomeno, per quanto sgradevole, non è affatto inspiegabile. Per lo stravagante miliardario non vota la classe alta o medio-alta, né la borghesia colta, e certamente non le minoranze di colore, islamiche o di origine latino-americano, che egli offende un giorno sì e l’altro pure. E certamente non voteranno per lui le donne emancipate, che lavorano e hanno un posto nella vita, visto il suo maschilismo che confina con la misoginia. Il suo pubblico è innanzitutto tra quei “poveri bianchi” senza lavoro o con lavori precari, convinti di essere stati rovinati dall’invasione di prodotti cinesi e dalla concorrenza degli immigrati messicani. Ci sono poi quelli ossessionati dal pericolo islamico, che ritengono la politica di Obama esageratamente prudente e inefficace per contrastarlo. Aggiungiamo a questa gente la popolazione di quel territorio, per lo più rurale, definito “Bible belt” (Il cordone della Bibbia): cristiani (per lo più evangelici) preoccupati dalla degenerazione morale della società. E infine, ci sono quelli che considerano inaccettabile che gli Stati Uniti continuino a farsi carico dell’onere principale della difesa dell’Europa. Messi tutti insieme, si tratta di decine di milioni di persone, non di una sparuta minoranza di fanatici.
Al di là delle sparate che possono apparirci folcloristiche, Trump ha per tutta questa gente risposte semplicistiche ma attraenti: guerra commerciale alla Cina, chiusura dell’immigrazione, elevazione di un muro tra USA e Messico, divieto d’ingresso ai musulmani, distruzione dell’IS (d’accordo con Putin), penalizzazione dell’aborto e del matrimonio gay, invito agli europei a pagare per la propria difesa. Sono programmi grossolani, tra l’altro difficili da realizzare nei fatti, ma Trump li usa con cinismo e fino ad ora con successo. Perché? Perché gente qualunque vuole risposte semplici, anche se assurde, a problemi complessi, ed è stanca del discorso spesso ambiguo dei “liberals” (che sono l’equivalente della nostra sinistra) e della tiepidezza dei conservatori moderati. Il fatto è che in politica spesso si vince più per demerito dell’avversario che per merito proprio. Cosí, i successi della destra estrema sono storicamente sempre il risultato degli errori e delle utopie di una certa sinistra.
Può arrivare Trump alla Presidenza degli Stati Uniti? Per quanto ci sembri assurdo e preoccupante, la risposta è Sì. Intanto, mi pare indubbio che conquisterà la “nomination” repubblicana. I suoi competitori si sono tutti ritirati: chi può più fermarlo? I dirigenti del Partito Repubblicano, che lo detestano e hanno cercato di mettergli tutti i bastoni possibili tra le ruote, pare sognino ancora con la possibilità di convincere i delegati che parteciperanno alla convenzione di Cleveland in luglio, di votare per qualcun altro, in contrasto con i risultati delle Primarie. Pare sia accduto in elezioni passate, ma erano altri tempi. Non credo sia possibile ora.
Una volta conquistata la candidatura, la corsa di Trump si farà però tutta in salita. Una cosa è convincere l’ala più conservatrice di un partito di destra. Ben altra è persuadere, non il popolo democratico e “liberal”, o le minoranze, che è cosa impossibile, ma l’elettorato moderato che alla fine decide il risultato dell’elezione. Molto dipenderà da due fattori: chi sarà il candidato democratico e se e come Trump, una volta conquistata la “Nomination”, vorrà e saprà riaggiustare il suo discorso rendendolo meno ostico ai moderati.
In campo democratico, Hillary Clinton ha una certa popolarità ma non grande carisma e la sua candidatura, anche se favorita, non è ancora certa: Sanders non ha abbandonato la corsa, specie dopo la vittoria in Indiana e solo un netto successo clintoniano in California può metterlo definitivamente fuori gioco. Ma Sanders rappresenta l’ala “socialista” del Partito; per questo ha un seguito non indifferente nel proletariato urbano e tra i giovani universitari, ma per questo potrebbe spingere il centro moderato, che è in maggioranza antistatalista, nelle braccia di Trump. Altra questione è se questi, una volta assicurata la candidatura repubblicana, metterà da parte le sparate peggiori e sterzerà verso il centro, visto che alla sua destra non ci sarà più nessuno a rincorrerlo. Il miliardario non è uno sciocco e il buon senso farebbe pensare che lo farà, ma vai a sapere! È certo che la candidatura di Trump polarizzerà la campagna in modo inedito, spingendo molta gente, dalle due parti, ad andare a votare (e molti immigrati ad accelerare la cittadinanza per poterlo fare).
Che succede se, alla fine, Trump diviene Presidente degli Stati Uniti? Naturalmente, non tutto quello che si dice in campagna elettorale è poi realizzabile nei fatti. Gli Stati Uniti sono un Paese complesso, con “cheks and balances” e il Congresso può limitare le stravaganze presidenziali (però un Presidente popolare, in situazioni date, può forzargli la mano, vedi Bush e la guerra all’Irak). Sul piano della politica estera, che è poi quello che direttamente ci interessa, a stare ai programmi trumpiani, dovremmo avere varie cose: truppe americane contro l’ISIS, scontro commerciale con Pechino, ma anche difficoltà nei rapporti con gli Alleati europei. E con la Russia? Per il momento, Trump e Putin si scambiano gentilezze, ma se gli Stati Uniti intervengono davvero nel Medioriente, quanto potrà durare questo idillio?
Una riflessione, per quanto prematura: se Trump vince e non cambia programma, gli europei hanno tutto l’interesse a stringere i loro rapporti e rafforzare l’Unione: il contrario esatto di quello che predicano quelli che si fregano già le mani all’idea del ritorno al più trito sciovinismo americano e sono già pronti a prostrarsi al nuovo padrone di Washington in odio a Bruxelles e a tutti i nostri valori. Avvertenza che vale per gli amici inglesi, tutti intenti a separarsi dall’odiata Europa nell’illusione della “relazione speciale” con Washington.
Un Commento
Illuminante. Il successo di uno come Trump non deve sorprendere, però: perché è chiaro che la Globalizzazione non è mai stata né indolore né tantomeno innocente, oltre ad essere un progetto di ingegneria economica e sociale di straordinaria inconsistenza culturale; e che i suoi dolorosi effetti in tutto il mondo non potevano che essere ‘mostri’ culturali e comportamentali come questo. Mi viene da evocare il ‘Caos’, tema dell’ultimo lavoro di Rampini: in tutto il mondo stiamo, semplicemente, assistendo alla fuga eccentrica di schegge impazzite a partire da un nucleo esplosivo del quale la Globalizzazione, meditata e lanciata da quegli uffici in vetta ai grattaceli, ha confezionato la miscela ed il detonatore.